Alberto Baban, Venetwork: “Alle startup servono buoni mentor”

Gianni Balduzzi 31/07/2020

Abbiamo incontrato Alberto Baban, già presidente di Piccola Industria, Confindustria, presidente di Venetwork, acceleratore veneto che raccoglie 200 piccole e medie imprese. E’ nel board di numerose aziende italiane, e conosce come pochi il tessuto imprenditoriale del nostro Paese, soprattutto quando si parla di Pmi.

Buongiorno dottor Baban, grazie per la sua disponibilità. Come prima cosa vorrei chiederle quali sono gli effetti più importanti che questa crisi ha sulle aziende, in particolare quelle più piccole che lei conosce bene

C’è una distinzione netta da fare innanzitutto, tra le aziende B2C e B2B, la vocazione italiana è al B2B, e questa è una delle ragioni che hanno portato alla strutturazione del mercato in piccole imprese, c’è una supply chain molto lunga in Italia, con filiere organizzate molto importanti. 

E quando avviene un fenomeno come quello di questi mesi che interrompe la trasmissione di informazioni, non si capisce come si comporterà il consumatore, e se vi è una struttura come quella italiana, orientata al B2B, diventa tutto molto più complicato, perché vi è una fila molto lunga e complessa di fornitori e subfornitori, come un serpente la cui testa è però spesso straniera, per esempio nel caso dell’automotive, in cui è di fatto tedesca, ed è difficile capire come questa testa voglia agire da parte di chi sta dietro.

Anche per queste caratteristiche strutturali l’Italia è stata colpita di più. Non sappiamo bene dove sta andando il mercato.

Secondo lei dove sta andando?

Non c’è una risposta, evitiamo di andare a leggere cose in giro, hanno sbagliato tutti. 

Possiamo dire che eravamo entrati nella quarta rivoluzione industriale con un processo di digitalizzazione che da un lato consiste nel reinventare le produzioni, avvantaggiandosi delle nuove tecnologie per divenire più produttivi, dall’altro è una mercato essa stessa, che ha creato un filone enorme di aziende che vivono su essa, per esempio sull’analisi dei dati. Ma queste nuove tendenze erano appena all’inizio e riguardavano ad esempio meno chi è nel B2B. 

Non si devono tirare le somme con facilità, perchè la complessità è enorme e ancora è difficile capire se per esempio il consumatore sta veramente cambiando le abitudini. Alcuni comparti potrebbero scomparire e altri nascere dal nulla, e si dovrebbe capire se il Paese è pronto

Ecco, a proposito del nostro Paese, quali sono i punti di forza ed i difetti della piccola impresa italiana a suo avviso?

Un pregio è certamente la capacità di cambiare con grande rapidità, l’agilità che è spesso assente nelle grandi aziende. Il punto debole è che mancando il contatto diretto con il mercato (perché si tratta in gran parte di B2B) la piccola impresa subisce i cambiamenti e deve essere ancora più brava a interpretarli per non rimanere fuori. 

E poi manca la capacità di investimento. La rivoluzione digitale è molto capital intensive, lo sappiamo. 

E oggi l’iniezione di capitale non è più opzionale, ma dirimente

Lei cosa si sentirebbe di suggerire al legislatore per favorire una maggiore capitalizzazione?

Abbiamo avuto la buona esperienza di Industria 4.0, che ha avuto il merito di creare una visione, dicendo alle aziende  “Ti dò un indirizzo e ti dico che stiamo andando in questa direzione, quella della  digitalizzazione, e ti conviene investire in questo, ti premio se lo fai” con un incentivazione. 

Poi per esempio sulla capitalizzazione delle imprese sarebbe giusto rinverdire l’ACE con una premialità del 7%, visto che la necessità assoluta è premiare chi investe nelle imprese, perchè se non ricevono investimenti avremo problemi sociali di dimensioni che non abbiamo ancora compreso. Ora questa premialità è poca e vi è una eccessiva complessità, è stato fatto qualcosa, poco, solo per startup innovative, ma va posta attenzione a tutte le pmi.

E poi ci vuole una forma di incentivazione automatica, come appunto con industria 4.0, che porti l’imprenditore a investimenti che all’inizio sarebbero fatti solo per convenienza, ma che poi porterebbero a un ciclo virtuoso

Se si trovasse davanti a un piccolo imprenditore, a qualcuno che ha appena avviato una sua startup, cosa si sentirebbe di dire, quali consigli darebbe, quali errori a suo dire dovrebbe evitare? 

Ho conosciuto molti imprenditori e “startuppari”. Sono in generale molto focalizzati sul prodotto. Io direi loro di ampliare il raggio di visione, cercando di comprendere come è strutturata un’azienda, avere dei mentor, i migliori sono chi ha già fatto impresa, chi ha già le ferite e l’esperienza, qualcuno che capisca come gestire una struttura, per esempio il capitale umano, senza pensare che il prodotto sia l’impresa, è una cosa più complessa. Di brevetti del secolo ce n’è uno su un milione. 

E a un investitore cosa consiglierebbe?

Di avere una cognizione migliore di quale sia il potenziale dell’impresa, partendo però dall’esterno, capire quale sia innanzitutto il mercato e a questo punto se l’azienda ha la capacità di aggredirlo e la struttura manageriale adatta.

La ringrazio molto dottor Baban e buon lavoro

Grazie a voi


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