Andrea Pietrini (Your Group): il manager del futuro è fractional

Gianni Balduzzi 09/07/2021

In un’economia sempre più complessa, imprevedibile e incerta, è sempre più indispensabile per le aziende irrobustirsi oltre che di capitale monetario anche di quello umano, indispensabile e necessario ad affrontare le sfide e le opportunità che si presentano. 

Lo ha capito da tempo Andrea Pietrini, che non a caso da molti anni si occupa di assistere le aziende, anche quelle più piccole, nel reperimento di competenze manageriali adatte al proprio sviluppo, prima in ambito finanziario, e poi in tutti gli altri, e che ha fondato allo scopo yourCFO, divenuta YOURgroup, un’organizzazione di contract manager che riunisce figure professionali di eccellenza e competenze manageriali utili alle imprese che ne hanno necessità.

Lo abbiamo voluto incontrare per parlare di come negli ultimi anni si sia evoluta e sia diventata sempre più importante tale necessità

Buongiorno dottor Pietrini, grazie per averci incontrato. Come e perché è nata yourCFO? 

Io ero direttore finanziario, la mia società è stata acquisita da una multinazionale, ho pensato come reinventarmi rimanendo nel mio stesso ruolo di Cfo. 

Il brand YourCFO nasce dall’esigenza di ritornare sul mercato con un’attività simile, ma non uguale, alla consulenza. Ma siamo nell’epoca del network, è indispensabile avere una rete, e ho pensato di coinvolgere Cfo bravi, che avessero avuto esperienze in grandi realtà.

Abbiamo istituzionalizzato quello scambio di segnalazioni e opportunità che già normalmente avvenivano tra professionisti, istituendo questa piattaforma, che poi si è allargata, coinvolgendo manager anche di altri ambiti, come l’HR, e anche direttori generali o amministratori delegati.

Attualmente siamo 210 partner, divisi in 8 verticali, dal CFO al Chief legal officer, ma contiamo di essere almeno 250 entro l’anno. 

Secondo lei vi era una necessità di tali figure nel mercato?

Dieci anni fa le cose erano diverse. Credo che YOURgroup sia nata riuscendo a vedere lontano, qualcosa di cui si sente l’esigenza ora

Fortune Usa dice che il manager del futuro è “fractional”, frase che io utilizzo da anni. Ora si sono create quelle condizioni sul mercato per cui da un lato vi sono molti bravi manager che devono ripensare la propria vita professionale, con le tante multinazionali che stanno decentrando portando management all’estero o dall’estero in Italia, che cercano un buon work-life balance, che magari non vogliono più viaggiare e vivere lontano da casa, e dall’altro le aziende hanno cominciato a capire che più le cose si fanno complicate più vi è necessità di manager. 

Ma le aziende piccole e familiari certi manager non possono permetterseli. Noi allora forniamo chi invece di stare nell’impresa 5 giorni a settimana ve ne sta due, facendo però un gran lavoro perché è evidente che l’utilità marginale di un manager senior in una realtà familiare è altissima.

Quindi di fatto c’è un grande mercato di managerialità di qualità, allo stesso tempo un enorme numero di piccole e medie aziende che visto il contesto economico e infrastrutturale bene si adattano al modello del fractional manager, che per esempio funziona bene con lo smart working

Questi 10 anni, compreso l’ultimo di Covid, sono quindi state di cambiamento a suo avviso?

Il Covid è solo il caso più lampante, ma piccole e grandi crisi ci sono sempre state. Per esempio con quella di Lehman Brothers che ha completamente mutato il mondo della finanza. In America il fractional manager è nato anche perché vi era necessità di manager finanziari che per esempio si confrontassero con i fondi di investimento.

Negli anni è cambiata anche la cultura, nel senso che sempre di più iniziative come la nostra sono state comprese dalle organizzazioni manageriali. 

Lo stesso sviluppo del mercato finanziario, dell’Aim, del Fintech, comunque, rendono necessario la presenza di qualcuno che li gestisca. Spesso gli strumenti sono troppo sofisticati per il piccolo e medio imprenditore. 

Siamo all’inizio di una rivoluzione, a mio avviso. Credo ci sia una grande opportunità che nasce da questa.

Ha incontrato resistenze nel mercato delle imprese per questo modello?

La classica forma di resistenza è quella dell’imprenditore che vorrebbe avere il manager lì presente, vicino, da controllare 5 giorni a settimana. Chiaramente la pandemia ha rallentato questa smania di controllo, molti imprenditori hanno capito che il bravo manager magari lavora meglio a distanza che da vicino. 

E poi vi è un tema economico che ha fatto superare certe resistenze. Pagare un manager strutturato a tempo pieno non è possibile per molte imprese, a meno di prenderne uno meno costoso con minori competenze. 

Che invece trovano in quelle figure senior che hanno lavorato in realtà più grandi. 

Io poi vengo dal mondo del Venture Capital, e uno dei problemi maggiori era il fatto che non trovavamo nelle aziende le persone che erano attrezzate per poter portare avanti i progetti. Ci dicevamo: “Quali sono le 5 cose che vede un un investitore in un’azienda? prodotto, mercato, management, management, management”

Secondo lei dal punto di vista legislativo cosa di dovrebbe fare per incentivare le aziende ad usare questi fractional manager?

Io sono abbastanza scettico su quello che può fare lo Stato. Il modello è auto-incentivante, la convenienza per le aziende è evidente, il tema è creare una cultura.

Io penso a una grande campagna di pubblicità-progresso perché le aziende prendano manager. O lo Stato potrebbe fare un programma come quello di Manzi (“Non è mai troppo tardi” ndr) del tipo “Impariamo la managerialità”.

Perché poi quello che vediamo è che quando gli imprenditori cominciano a coinvolgere, anche in modo leggero, in modalità fractional, i manager, poi si innamorano, vogliono assumerlo o prenderne anche altri, perché si rendono conto che questi tolgono loro molte castagne dal fuoco, danno loro la possibilità di avere più tempo per seguire altri progetti.

Come i tutti percorsi culturali c’è bisogno di strumenti di questo tipo, culturali, più che di incentivi.

All’inizio YOURgroup era di fatto una startup, lei che consiglio darebbe a chi ora ne sta fondando una?

Il problema iniziale che ho sempre visto come venture capitalist e business angel diversi anni fa è la presunzione che il proprio prodotto o servizio sia l’unico. Gli imprenditori si innamorano della propria idea, e non vedono la realtà della concorrenza, delle startup simili che già esistono.

Anche perchè se veramente fosse unica ci si dovrebbe fare la domanda sul perchè sia così, forse perchè non c’è un mercato.

Quindi si dovrebbe guardare il proprio prodotto in modo critico e fare un’analisi della concorrenza nella soddisfazione dei bisogni. Magari non c’è questo prodotto, ma ce n'è uno diverso che soddisfa lo stesso bisogno. E che quindi è un competitor.

Questo è uno dei problemi più frequenti che rilevo, puntare su un cavallo che si pensa sia l’unico che corre, mentre c’è dietro una mandria. 

Grazie mille dottor Pietrini

Grazie a lei.

 


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