Biova Project, Franco Dipietro: "Con la nostra birra abbattiamo gli sprechi alimentari"

Redazione BacktoWork 29/08/2020

Una birra un po’ sapida che fa bene all’ambiente, all’economia e naturalmente alle persone. È questo il primo prodotto di Biova Project, startup impegnata nel contrasto allo spreco alimentare favorendo un’economia circolare che, dal pane invenduto, realizza una birra artigianale di alta qualità. Ma, promette il founder e CEO Franco Dipietro in quest’intervista, questo è solo il primo dei prodotti proposti.

Biova trasforma il pane in birra. Allora è vero che nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma?

Questo è assolutamente vero, lo dicevano già i filosofi antichi. In realtà la birra è nata proprio in questo modo: dal pane. Sembra, infatti, che gli inventori della birra siano gli Egiziani e che la facessero con il pane che gli avanzava. Probabilmente, questa idea del recupero e del riciclo viene veramente da lontano. 

Noi in questo momento trasformiamo il pane, che è uno scarto inevitabile: sono 13.000 quintali al giorno, in Italia, ed è molto difficile smaltirli. Tuttavia l’obiettivo è quello di trasformare lo scarto alimentare in genere e trasformarlo in qualcosa di nuovo. Biova vuole lavorare nella food innovation, per creare un’economia circolare all’interno del mondo alimentare, quindi abbattendo gli sprechi e permettendo una riduzione di utilizzo di materia prima, per essere maggiormente sostenibili nel nostro futuro.

Qual è il valore aggiunto di ridurre gli sprechi alimentari rimettendo in circolo le materie prime?

Ci sono due vantaggi immediati: il primo è la riduzione dello spreco alimentare, che è un costo per i produttori. Ritirare il pane, o anche solo cercare di buttarlo in discarica, o farlo diventare mangime, è un costo. 

Da una parte noi riduciamo sprechi e costi, e quindi già di per sé il nostro è un servizio che permette di migliorare qualcosa, ma per di più, andando a recuperare uno scarto e sostituendolo ad un'altra materia prima, permettiamo, di fatto, il risparmio di tantissime risorse per il pianeta.

Per realizzare 2.500 litri di birra, noi riusciamo a non utilizzare nella fase dell’ammostamento oltre 200 chili di malto d’orzo, perché vengono sostituiti da 150 chili di pane. Una materia che andrebbe buttata via va quindi a sostituirne una ad altissimo impatto ambientale. Il malto è infatti un cereale, quindi prende terra, prende acqua, prende energia e per di più è maltato, tostato, e quindi c’è dispendio di energia per il trasporto, la tostatura e il suo insacchettamento. Inoltre, molto spesso questi malti vengono dalla Germania o dagli Stati Uniti, di conseguenza effettivamente la riduzione di CO2 dovuta a questo metodo di fare la birra è molto rilevante.

La maggior parte dei fondi che intendete raccogliere tramite la campagna di crowdfunding saranno investiti in marketing. Come intendete promuovere il vostro prodotto?

Noi abbiamo due obiettivi: uno minimo, che ci permetterebbe di rafforzare un po’ il nostro marketing. Ovviamente il nostro è un progetto che va raccontato: solo raccontandolo raggiunge una sua efficacia. 

L’obiettivo successivo, quello dei 300.000, ci permetterebbe di aprire un nuovo centro di lavorazione e trattamento dello scarto del pane in una nuova zona e, quindi, effettivamente allargare, diciamo scalare, la nostra possibilità di recupero e di produzione.

Per nostra natura abbiamo un target B2B, perché chiaramente ci rivolgiamo a quelli che hanno uno spreco da abbattere, non tanto il singolo consumatore che di per sé non è responsabile dello spreco di pane. Il vero spreco di pane si verifica infatti sull’invenduto ed è per questo che principalmente andiamo a targetizzare i nostri clienti che sono nel B2B. Questi poi diventano nostri distributori-ambasciatori e loro parlano al B2C

Qual è il modello di distribuzione del vostro prodotto?

Noi proponiamo il servizio di abbattimento dello scarto, di recupero del pane invenduto, a grandi gruppi di distribuzione, GDO principalmente; in questo modo loro rivendono una referenza che va ad abbattere i loro sprechi interni e quindi possono usare i nostri numeri di abbattimento, sia di spreco che di CO2, a vantaggio del loro bilancio di sostenibilità. 

Per questo dico che i nostri fornitori di pane poi diventano i nostri distributori in partnership, perché poi, quando vanno a distribuire il nostro prodotto, tendenzialmente non lo vanno mai ad affogare nello scaffale delle birre, dove “morirebbe” in mezzo a centinaia di altre birre. Invece espongono il nostro prodotto in posti speciali, come la panetteria

Ad esempio, Unes vende la nostra birra con una torre in mezzo all’isola del pane, con una comunicazione sul banco del pane che dice “noi qui non sprechiamo il pane”

Inoltre, sull’etichetta - oltre al nostro marchio - è indicata la provenienza del pane recuperato. Teniamo, infatti, traccia dei nostri scarti, perché così sappiamo dire dove abbiamo recuperato quello scarto e quale scarto è entrato a far parte di quella birra. 

Il mercato della birra sta vivendo già da alcuni anni un processo di rivalorizzazione. Quale futuro immagina?

Sicuramente la birra è sempre stata un prodotto legato alla territorialità. Ora, tantissimi birrifici artigianali hanno portato questa tradizione a livello sempre più locale e hanno fatto in modo che sempre più persone abituassero il palato a distinguere una birra artigianale da una industriale. Ma siamo ancora, secondo me, all’inizio di questo processo. 

Gli italiani hanno palati abbastanza abituati al vino, mentre alla birra si stanno interessando realmente solo da qualche anno. I dati dimostrano come ogni anno crescano gli appassionati di birra artigianale, che quindi sanno distinguere che cos’è una birra industriale da una artigianale. Nel 2018 c’è stato il pareggio dei consumi di birra e di vino in Italia e da noi è assolutamente epocale. Sicuramente si evolverà ancora in questa direzione, perché di mercato per le birre, specialmente quelle artigianali, ce n’è ancora. 

Biova, però, non lavora strettamente e unicamente nel mercato delle birre, per quanto sia il nostro primo prodotto.

Avete quindi intenzione di estendere il vostro modello ad altre materie prime e/o prodotti?

Esattamente, è per quello che ci chiamiamo Biova Project perché noi intendiamo il progetto come un progetto di abbattimento degli sprechi. Per noi non è tanto importante sfondare nel mercato delle birre artigianali, quanto creare questa filosofia del recupero. Per noi la cosa più importante a fine anno è dichiarare quanto spreco alimentare abbiamo recuperato, rimettendolo in circolo. Ad oggi abbiamo recuperato una tonnellata di pane, da novembre 2019.

Sempre sul filone birra, passeremo anche a ritirare le rotture del riso, che sono un altro scarto importante, quindi faremo una birra senza glutine. Un altro prodotto che stiamo sviluppando, totalmente in fase sperimentale per adesso, è dallo scarto della lavorazione della birra, si chiama Trebbia, ed è praticamente il malto d’orzo esausto, il quale ha un contenuto basso di glucidi, che sono rimasti nell’ammostamento, ma ha un contenuto molto alto di proteine, quindi si può di nuovo essiccare e trasformare in farina. Ho già assaggiato dei biscotti e dei taralli fatti così, e sono effettivamente molto buoni.

A proposito di bontà, la vostra birra è davvero buona come quelle realizzate con il metodo classico?

Io vi invito a provarla. A parte che noi, appunto, scegliamo birrai sempre di altissimo livello, vincitori di grandi premi che prestano al progetto la loro ricetta, proprio perché vedono nel progetto uno scopo interessante e benefico e quindi ci regalano le loro ricette più famose. 

Il pane dà alle nostre birre anche un tocco di sapidità, un gusto inaspettato ma assolutamente piacevole. Quindi tutti riconoscono la grande freschezza delle nostre referenze. Per il resto sfiderei davvero chiunque ad assaggiarla e dire se c’è qualcosa che non va, perché effettivamente sono birre fatte molto bene, con un’idea artigianale molto importante. 

Vogliamo dimostrare che da una cosa che non ha più valore, puoi tirare fuori una cosa che ha molto valore. 


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