Business angel: un mercato che continua a crescere

Redazione BacktoWork 16/06/2022

Il ruolo degli “Angeli” cresce, nelle startup, nelle imprese in fase seed e nell’equity crowdfunding. Il maggior incremento si registra nell’ICT ma a risultare sempre più interessanti sono anche i settori del food e della salute. La Lombardia si conferma come la Regione più recettiva

Per molte aziende, startup e Pmi innovative in primis, arriva il momento in cui, per fare il salto di qualità e per evolversi in realtà imprenditoriali strutturate, solide e durature, diventa necessario raccogliere capitali, e una delle strade più interessanti risulta essere quella di trovare (e riuscire a coinvolgere) un Business Angel (BA), o Angel Investor.

Oggi, con il nuovo registro dei Business Angel istituito presso la Banca d’Italia, per gli startupper la ricerca è diventata ancora più semplice, e va ad aggiungersi ai numerosi portali dedicati, con vere e proprie community e network di investitori specializzati.

Ma chi sono veramente questi angeli e come operano? Il tipico BA è un imprenditore, libero professionista o manager che mette a disposizione parte del proprio patrimonio, tempo e competenze, nonché una diffusa rete di relazioni, impiegando quote di capitale di rischio, per finanziare imprese in fase di avviamento o nelle prime fasi di sviluppo.

Business Angel e Venture Capital, gemelli diversi

L’obiettivo è ottenere un significativo ritorno sull’investimento nell’arco di 4-5 anni, supportando l’imprenditore nella definizione di piani strategici e di marketing, nelle attività gestionali e di organizzazione, e nella consulenza operativa sulle attività di amministrazione e finanza.

I benefici più evidenti per la startup si riassumono nella possibilità di avere un esperto a costo zero nelle fasi cruciali dello sviluppo aziendale, e un vero e proprio “angelo custode” in grado di guidare le scelte in modo strategico.

Il Business Angel, dal canto suo, si assicura un buon investimento diventando parte dell’impresa stessa.

Talvolta, questa figura viene confusa con quella del Venture Capital, dal quale però differisce per diversi aspetti. Uno su tutti: se i primi sono prevalentemente interessati alle startup nelle prime fasi di vita, i VC preferiscono, perlopiù, investire in aziende già consolidate.

Inoltre, la Legge di Bilancio 2019 ha previsto un obbligo per il BA di investire nella startup prescelta almeno 50 mila euro in tre anni, anche se in media arrivano a contribuire fino ad un tetto di 200 mila euro, una cifra comunque sensibilmente inferiore rispetto ai 500 mila euro che può raggiungere un VC.

La grande crescita del comparto

Il peso dei Business Angel italiani nella crescita e nello sviluppo sia delle startup nostrane che di quelle estere con founder italiani è progressivamente aumentato negli ultimi anni.

Secondo i dati emersi dalla Survey IBAN 2021, condotta dall’Italian Business Angels Association, nel 2021 hanno partecipato a operazioni di investimento per un ammontare complessivo di 935,8 milioni di euro, con un balzo del +132 per cento rispetto al 2020.

La forma prediletta risulta essere stata quella dell’investimento in syndication con i fondi di VC, pari al 72 per cento delle operazioni, ma si è registrata negli ultimi tre anni una forte e costante crescita anche delle operazioni di equity crowdfunding, che nel 2021 sono arrivate a 32,5 milioni di euro, ed è significativo il fatto che il 55 per cento delle imprese sostenute da Business Angel nel 2021 siano state finanziate attraverso piattaforme di crowdfunding (erano il 51 per cento nel 2019), in generale.

L’investimento medio per Angel, tuttavia, è diminuito, attestandosi a circa 9 mila euro rispetto ai 12.249 del 2020.

Tra presenza femminile e prevalenza dell’IT

In ripresa, è stata anche la percentuale di donne investitrici che ha raggiunto il 14 per cento del totale, con più di una su tre che ha fatto almeno un investimento in aziende fondate da altre donne: sono in prevalenza laureate (78 per cento), con un passato da libera professionista (57 per cento) e un’età media di 63 anni.

Il settore di maggiore interesse si conferma essere quello dell’ICT su cui si focalizzano il 36 per cento degli investimenti effettuati (un valore in linea con i dati degli anni precedenti: 30 per cento nel 2020 e 35 per cento nel 2019) e, all’interno di questo comparto, rimangono prevalenti (nel 63 per cento dei casi) le operazioni che riguardano startup impegnate nella fornitura di servizi tecnologici alle imprese. Da registrare, qui, un cambio di tendenza rispetto agli anni precedenti in cui la maggior parte degli investimenti nel settore riguardava servizi rivolti ai privati.

Seguono il comparto alimentare (12 per cento), con una forte componente foodtech e biotech, poi l’healthcare (10 per cento), che conferma il notevole interesse degli investitori nell’ultimo triennio verso il ramo della sanità, e gli “altri Servizi” (10 per cento).

Nonostante la maggior parte degli investimenti continui a essere assorbito dalle società in fase di startup, sembra essere in atto un’inversione del trend a favore degli investimenti seed (relativi, cioè, alle società in una fase ancora embrionale), il cui valore nel 2020 è aumentato quasi del 10 per cento.

Non sorprende, poi, che l’85 per cento delle aziende target sia iscritta nel Registro speciale della Camera di Commercio per le Imprese Innovative e di queste, il 20 per cento faccia parte della categoria delle Pmi Innovative.

Il ruolo decisivo della sostenibilità

Dal punto di vista della distribuzione geografica, invece, è evidente il divario tra Nord e Sud, con il 75 per cento degli investimenti che ha finanziato imprese con sede nelle regioni dell’Italia settentrionale.

Al primo posto si trova la Lombardia, che da sola raccoglie ben il 45 per cento della totalità del denaro investito, con Milano e provincia che hanno visto la propria capacità attrattiva crescere di ben 11 punti percentuali tra il 2019 e il 2020.

Segue, a grande distanza, il Trentino-Alto Adige con il 9,5 per cento.

Per la prima volta, infine, la ricerca ha focalizzato l’attenzione sull’importanza degli aspetti ESG (Environmental, Social, Governance, ovvero sulla solidità dell’impresa per ciò che riguarda gli aspetti ambientali, sociali e di governance), e dell’analogo impact investing, verificandone la relativa importanza nelle decisioni di investimento: il 65 per cento degli investitori applica criteri di valutazione di questo tipo per le opportunità di investimento, indice di un crescente peso dato ai cosiddetti “rating di sostenibilità”.


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