L’Italia non è mai stato un Paese omogeneo, da nessun punto di vista, sociale, politico, storico né certamente economico. Il gap tra Centro-Nord e Mezzogiorno è noto, e non sono bastati decenni di interventi, di Casse per il Mezzogiorno e incentivi a ridurlo.
Negli ultimi anni però la disuguaglianza ha cambiato faccia, e in un certo senso ha avvicinato l’Italia al resto d’Europa e dell’Occidente, quella tra regioni non è tramontata, ma è emerso il divide tra metropoli e provincia.
Qualcuno ha detto che il XXI sarà il secolo delle città, che hanno smesso di perdere abitanti e anzi ne stanno attirando dalle zone rurali, e che stanno diventando il centro dello sviluppo economico sull’onda della sostituzione, ormai in atto da molto, dell’industria da parte dei servizi. Servizi spesso servizi avanzati, tecnologici, finanziari, che non hanno bisogno di molto spazio, quanto di essere interconnessi e vicini.
Sta avvenendo anche in Italia, e fatta la tara sui mille effetti collaterali spiacevoli che conosciamo, aumento dei prezzi nelle aree urbane, impoverimento della provincia, ecc, lo possiamo vedere anche come un fenomeno positivo, che indica come anche nel nostro Paese si possono sviluppare aree che facciano da guida, un po’ come avviene, pur con magnitudo maggiore, in Francia con Parigi e nel Regno Unito con Londra, e si possano concentrare competenze e innovazione.
Stiamo parlando di Milano, certo, ma anche in altre grandi città si nota uno sviluppo nell’ultimo decennio che è mancato in regioni e province di antico insediamento economico.
Tra il 2013 e il 2018, ovvero tra il momento più nero della Grande Recessione e l’ultimo anno di cui l’ISTAT ha dati completi è cresciuto molto poco il numero complessivo delle imprese. Un aumento del 0,3% che non sorprende considerando che l’Italia è il Paese europeo che ne conta da sempre di più, circa 4,4 milioni, grazie alla grande quantità di piccole imprese. E sono proprio quelle più minuscole, le micro, che hanno tra zero e 9 addetti, che hanno visto la performance peggiore, con un calo invece del 0,1%, ovvero di circa 4 mila aziende.
Vi è stata, lo sappiamo, un po’ di selezione darwiniana con la crisi e alcune realtà sono uscite dal mercato. Ma il dato più rilevante è un altro, e riguarda proprio le differenze geografiche. Perchè a fronte di questo calo nazionale in realtà in Lombardia le imprese più piccole sono cresciute dell’1,2%, e in provincia di Milano si è arrivati a un +4,4% che segue in scia l’aumento del 4,9% del totale delle aziende.
Si tratta di una differenza rilevante dal trend nazionale. Ma Milano e la Lombardia sono in buona compagnia. A Roma negli stessi anni sono nate circa 12.800 micro aziende, con un incremento del 4%, e anche nella terza città italiana, Napoli, la dinamica è stata decisamente diversa da quella italiana, con un aumento del 3,2%.
Peggio della media invece, con cali nel numero delle microaziende superiori spesso al 2%, Piemonte, Emilia Romagna, Veneto, Marche, centri della “terza Italia”, dei distretti e della piccola impresa diffusa.
È chiaro che non si tratta solo di startup, di imprese innovative, di servizi avanzati, ecc, soprattutto a Roma e Napoli, sarebbe naif pensarlo. Vi è molto commercio e ristorazione per esempio, anzi è soprattutto in questi settori che si sono concentrati i progressi, ma lo sviluppo di commercio e ristorazione sono in fondo, almeno in epoca pre-covid, una diretta conseguenza del surplus generato dall’innovazione e dalla creazione di nuove imprese anche tecnologiche e innovative.
Un vecchio luogo comune dice che ogni posto di lavoro nella Silicon Valley ne genera altri 5 di cui 2 o 3 in realtà in ambiti completamente diversi come appunto il turismo o la ristorazione. Che sia esattamente così o meno il principio è questo, la crescita dei settori capital intensive che apparentemente creano poco lavoro ne crea indirettamente in quelli labour intensive, attraverso ad esempio la maggiore domanda dei lavoratori.
E questo, fatte le debite proporzioni. è accaduto probabilmente anche in Italia, sempre prima della pandemia attuale, anche se naturalmente gli effetti sull’occupazione dello sviluppo di un’area o di un settore vengono sempre dopo.
Tuttavia si può notare come se gli addetti delle imprese più piccole sono diminuiti dell’1,2% tra 2013 e 2018, a Milano si è registrato un aumento del 2,7%, che equivalgono a 13 mila lavoratori in più. Ancora maggiore, del 3,7%, è l’incremento in provincia di Roma, e del 4,1% a Napoli.
La performance relativamente peggiore di Milano è dovuta anche al fatto che molte nuove e vecchie aziende in realtà sono cresciute e divenute più grandi, tanto che il numero di lavoratori totali ha avuto un balzo addirittura del 16,3% nello stesso lasso di tempo.
Altrove, nelle Marche, in Umbria, in Emilia Romagna, in Liguria invece gli addetti delle micro imprese subiscono un calo di più del 4%.
Non appare una coincidenza che proprio nelle aree che in tutto il mondo diventano centro di innovazione e luogo di fondazione di startup o anche solo di servizi avanzati, nel campo della comunicazione, dell’informatica, della tecnologia in generale, le grandi città, vi sia una crescita del numero di lavoratori e di imprese, anche di quelle più piccole.
Ogni considerazione e stima in questo periodo risente sempre dell’enorme peso del periodo che stiamo vivendo, che ha stravolto l’economia e la vita di ognuno. I trend che erano iniziati prima del 2020 proseguiranno dopo? Come ne risentiranno? Il futuro è un territorio incognito, ma i dati relativi alla fondazione di startup nella prima parte del 2020 sono incoraggianti, confermano l’intuizione di molti che il settore dell’innovazione che trova nelle città il suo centro di sviluppo sia in realtà anticiclico, soprattutto quando il ciclo economico è influenzato da una pandemia.
Perchè se da un lato vi è la crisi di tutto il mercato dei servizi esperienziali, quindi della ristorazione o del turismo, dall’altro le imprese digitali, la gig economy, le aziende a maggior valore aggiunto, quindi con i margini necessari per resistere alla tempesta, tendono a prevalere. E anche queste sono concentrate nelle grandi città. Esse e i loro dipendenti.
Suo malgrado e nonostante le apparenze contrarie la pandemia potrebbe accelerare la trasformazione del XXI secolo nel secolo delle città.