Grazie all’utilizzo dei dati, hanno incrementato i flussi di ricavi, sono rimaste rilevanti per i clienti, hanno adattato rapidamente le proprie offerte alle esigenze del mercato, ottenendo margini di profitto operativo superiori del 30% rispetto alla media registrata nel settore dei prodotti di consumo e del retail. È il ritratto che Capgemini fornisce delle aziende “data master”, quelle realtà che all’inizio della pandemia presentavano già solide basi di dati che hanno sfruttato in modo proattivo per crescere e rispondere alle sfide dell’attuale contesto digital-first.
Per contro, secondo lo studio “The age of insight: how consumer products and retail organizations can accelerate value capture from data”, le aziende che non hanno ancora maturato una mentalità basata sui dati, una cultura “data-powered”, stanno perdendo terreno in termini di competitività e di capacità di conseguire i propri obiettivi di business, di purpose aziendale e di sostenibilità.
“Ci sono prove evidenti che, in un contesto di rapido cambiamento come quello attuale, essere data-powered è fondamentale per il successo delle organizzazioni di prodotti di consumo e retail”, spiega Alessandro Kowaschutz, CPRD & EUCS Director di Capgemini in Italia. “Con l’aumento della competitività, sia all’interno che all’esterno del settore, le aziende hanno bisogno di promuovere una cultura che permetta loro di utilizzare efficacemente gli insight e agire velocemente. Le organizzazioni in ambito CPR devono modernizzare le loro piattaforme di dati e agire per rafforzare la fiducia e le decisioni guidate dagli stessi, in modo da avanzare nel loro percorso di data mastery e ottenere un vantaggio competitivo sostenibile”.
Per Capgemini, solo il 16% delle aziende di prodotti di consumo può essere qualificato come data master, e solo il 6% delle organizzazioni retail supera il benchmark. Queste aziende leader godono di margini di profitto operativo del 30% più alti rispetto alla media del settore, grazie all’implementazione di una migliore data hygiene e a pratiche di data management come l’automatizzazione della raccolta dei dati, l’integrazione di dati esterni per l’attività di analisi, la valutazione della qualità dei dati a partire dalla fase di progettazione.
Le principali organizzazioni Consumer Products and Retail stanno utilizzando dati e analytics per implementare business model innovativi basati sull’economia circolare, dato che il 79% dei consumatori è orientato verso questi servizi. Il 77% delle organizzazioni ha rivelato che gli approcci di sostenibilità hanno rafforzato la fedeltà dei consumatori, mentre il 63% che questo focus sulla sostenibilità si è tradotto in un aumento dei ricavi.
Il report considera dati e analytics come fattori chiave per la sostenibilità: quasi la metà delle organizzazioni intervistate (47%) sta infatti investendo in AI, machine learning e sensori per l’Industrial Internet of Things (IIoT) al fine di promuovere i propri obiettivi di sostenibilità.
“Non basta semplicemente reagire al cambiamento: le organizzazioni CPR devono individuare i cambiamenti nel comportamento dei consumatori prima che emergano come tendenze”, continua Kowaschutz. “Questo è particolarmente rilevante quando si tratta di sostenibilità: stiamo vedendo come i data master ottimizzino le informazioni a loro disposizione per cambiare il modo tradizionale di lavorare e favorire modelli di business legati all’economia circolare, dalle catene di approvvigionamento e logistica alla produzione e al ciclo di vita dei prodotti”.
A livello complessivo, dall'analisi emerge come le aziende CPR siano in ritardo rispetto ad altri settori nell’istituzione di un processo decisionale basato sui dati, registrando il 31% in meno di probabilità di usarli al momento di prendere decisioni rispetto a quelle del settore Banking e circa il 10% in meno rispetto a quelle del settore Life Sciences and Healthcare.
Tra le sfide che si frappongono al percorso verso la data mastery, le più frequenti includono i cosiddetti data silos, la carenza di competenze e la mancanza di fiducia nei dati. Funzionalità e integrazione sono state indicate come gli ostacoli più critici, con la maggior parte delle organizzazioni (57%) che dichiarano di essere ancora impegnate a modificare i propri sistemi legacy che impediscono l’utilizzo di automazione e AI.