Nato come strumento di microfinanza dal basso per consentire l’accesso su larga scala a investimenti in start-up, il potenziale del crowdinvesting come canale di finanziamento per la crescita delle imprese è probabilmente ancora poco noto. Ma in realtà è una modalità molto interessante, perché semplice, flessibile e con una capacità di raccolta importante, che ben si adatta anche alla dimensione della scale-up.
Un’azienda che è nella fase di crescita e non più in quella di avvio ha necessità di capitale anche maggiori rispetto a una start-up e può raccoglierlo in vari modi: ricorrendo ai finanziatori professionali del venture capital, per esempio, o attraverso l’emissione di debito, o quotandosi in Borsa.
Negli ultimi anni, per il target specifico delle PMI sono nate diverse formule semplificate sia fronte bond sia lato equity: in particolare, i minibond istituiti a fine 2012, che rendono l’emissione del debito accessibile anche alle aziende più piccole, e il mercato Aim, il listino alternativo di Borsa Italiana, dedicato alle piccole e micro attività produttive del Paese. Quanto e come sono stati usati?
Quanto ai minibond, secondo l’ultima edizione dell’Osservatorio del Polimi, da novembre 2012 al 31 dicembre scorso sono state 671 le imprese italiane che hanno collocato minibond, di cui 409 erano PMI (il 61%). Nel solo 2020 attraverso questo strumento le PMI hanno raccolto 448 milioni di euro (su un totale di 920 milioni di euro, considerando le emissioni del complesso delle aziende). Ma la dimensione media della singola emissione è stata nei 12 mesi di 4,59 milioni, molto più piccola rispetto alla soglia fissata per legge (50 milioni), il che rende evidente che a questi strumenti accedano imprese piccole che potrebbero avere soddisfazione anche in un contesto ulteriormente semplificato.
Per quanto riguarda l’Aim la situazione non appare molto diversa. Anche in questo caso, la raccolta media è piuttosto bassa: 6,5 milioni di euro, in aumento dai 5,9 milioni del 2019, secondo l’Osservatorio IrTop. Vale a dire, un ammontare compatibile con quello che si può raccogliere con il crowdinvesting, che ha il limite di 8 milioni di euro. Certamente la media per singola campagna a oggi è stata molto inferiore (circa 200.000 euro), ma non sono mancate singole raccolte milionarie (come quella di e-Novia, che ha raccolto proprio 8 milioni in giorni grazie alla collaborazione di BacktoWork e Intesa Sanpaolo Private Banking).
Riteniamo che il crowdinvesting possa essere uno strumento aggiuntivo, non necessariamente in contrapposizione con Aim, ma anzi, una possibilità alternativa o un ponte per arrivare alla quotazione.
I vantaggi che il crowdinvesting offre rispetto alle sue alternative più istituzionali sono importanti.
Ma il potenziale deve ancora esprimersi nella sua interezza. In campo è entrata infatti l’Ue con un regolamento che disciplina il settore e che entrerà in vigore in Italia a fine 2021: a quel punto i portali potranno espandere la propria attività anche fuori dai confini nazionali, su tutto il territorio dell’Unione Europea. Questo apre un mondo di opportunità per gli investitori italiani che potranno accedere a proposte più ampie e diversificate, ma soprattutto offre alle scale-up italiane alla possibilità di raccogliere non solo da investitori nazionali, ma da tutt’Europa.