Nelle startup e più in generale in tutte le società finanziate tramite operazioni di private equity, la exit o “uscita” dall’investimento, ovvero la vendita delle proprie quote di partecipazione, rappresenta l’obiettivo comune di soci fondatori e investitori: è infatti il momento in cui è possibile monetizzare l’aumentato valore della società ottenendo un ritorno economico.
Per attirare finanziatori è necessario che vengano loro garantite chiare modalità di exit, che consentano di gestire in modo ordinato e non litigioso l’operazione di vendita (a soggetti terzi di natura industriale, ad altri soci, a fondi più grandi e strutturati) o la quotazione della società sul mercato azionario. A tal fine è essenziale la disciplina del disinvestimento all’interno degli statuti societari, degli accordi di investimento e dei patti parasociali. Imprenditore e investitore possono concordare alcune clausole, dette clausole di exit o di way out, il cui scopo è soprattutto quello di evitare che la cessione della partecipazione da parte di uno dei soci venga effettuata a danno degli altri, e di fornire ai soci di minoranza una adeguata certezza sulla sorte della propria partecipazione, a prescindere dal valore e dalla percentuale di possesso, o dal fatto di aver partecipato attivamente alle negoziazioni per la cessione.
Tra le clausole più comuni troviamo sicuramente i patti di co-vendita come drag along (diritto di trascinamento) e tag along (diritto di inseguimento) o il diritto di prelazione, che obbliga il socio che intenda cedere la propria partecipazione a terzi ad offrire la stessa preventivamente agli altri soci, i quali avranno il diritto di acquistarla alle medesime condizioni offerte dal terzo.
Altre clausole di exit che le parti possono inserire in contratto sono: