Il 2020 delle startup italiane, un anno di bilanci, positivi

Gianni Balduzzi 29/01/2021

Il 2020, sembra retorica ripeterlo, rimarrà sui libri di storia come un anno nero. Da ogni punto di vista, in primis ovviamente per la perdita di vite umane per la pandemia, e poi in ambito psicologico, sociale e naturalmente economico.

E tuttavia, è già accaduto in altre crisi, questa è servita anche a evidenziare gli elementi di forza e di debolezza di un sistema. Come l’acqua che pulisce dalla terra dei sassi in un setaccio scoprendo l’oro e le pietre preziose.

Tra queste vi sono moltissime startup italiane. Gennaio è sempre tempo di bilanci, e l’ultimo report del Ministero dello Sviluppo sull’ecosistema sulle nuove imprese innovative del nostro Paese dà un quadro completo di tutto il 2020. Da cui scaturisce che proprio dall’anno peggiore dal Dopoguerra le nostre startup sono uscite più forti.

+24,2% il capitale sociale nel 2020

Il dato sicuramente più positivo è quello che riguarda la crescita del capitale sociale totale dichiarato dalle startup. A fine dicembre ammontava a circa 724 milioni e 252 mila euro, il 24,2% in più rispetto ai 583 milioni e 206 mila di fine 2019.

Soprattutto perché contrasta con i numeri riguardanti tutte le società di capitali fondate negli ultimi 5 anni, la cui capitalizzazione è invece scesa del 7,2%, passando da circa 24 miliardi e 306 milioni a 31 miliardi e 823 milioni.

A livello di mera numerosità delle aziende le startup iscritte allo speciale registro delle imprese che le contiene erano alla fine dell’anno scorso 11.899, contro le 10.882 di un anno prima, il 9,3% in più, mentre le società di capitali “giovani” (con meno di 5 anni, appunto) crescevano di 6.199 unità, ovvero solo dell’1,7%.

Questo vuol dire che se è vero che in generale nel 2020 le nuove startup sono nate molto più robuste, più capitalizzate rispetto a quelle della stessa tipologia nel 2019, cosa decisamente importante visto il particolare momento economico. I progressi fatti sono quelli della specie migliore, qualitativi, ancora più che quantitativi. Significa che il mercato ha ritenuto che le imprese innovative fossero un investimento non solo possibile, ma sicuro, più sicuro di quello verso molte altre imprese classiche in un mondo incerto.

Tanto che la percentuale di startup sul totale delle nuove imprese di capitali va dal 2,98% al 3,21%.

Una maggiore capacità di resistenza grazie alla concentrazione nel settore ICT

dunquelLe startup forse un po’ a sorpresa mostrano di avere avuto maggiori capacità di resistenza rispetto al resto dell’ecosistema economico. Per meriti propri e per motivi evidentemente strutturali. Tra questi ultimi sicuramente vi è una maggiore flessibilità nella gestione dei costi, meno fissi e più variabili (che riguardino il personale o le infrastrutture materiali) di quelli di altre imprese, e di conseguenze una maggiore capacità di adattarli alle condizioni di mercato. 

Inoltre le startup sono attive in ambiti che nel 2020 hanno indubbiamento sofferto meno, in alcuni casi addirittura beneficiato della situazione creatasi con la pandemia, in particolare nell’ambito dell’ICT

E tuttavia non dimentichiamoci che non si tratta di “fortuna”, c’è del merito nel creare una azienda in un settore complesso e avanzato, in cui le competenze sono fondamentali, basti pensare al Fintech, e che si possa ritrovare sulla frontiera tecnologica.

E non è un caso che nel 2020 è proprio in settori come la “Fabbricazione di computer e prodotti di elettronica” e soprattutto “Produzione di software e consulenza informatica” che aumenta maggiormente la quota di startup nell’ambito delle nuove imprese di capitale passando nel primo caso dal 35,85 al 39,1% e nel secondo dal 37,9% al 40,4%. È in quest’ultimo ambito che si concentra quasi la maggioranza relativa delle startup che si sono aggiunte nel 2020, 470 su 1017.

Cresce la concentrazione geografica

Tra le notizie agrodolci vi è un incremento dei dipendenti che non tiene il passo della crescita delle startup e dei capitali in esse impiegati. Aumentano del 4,2% a fronte di un +9,3% del numero assoluto di imprese innovative. 

Tuttavia in un anno tragico anche per l’occupazione non è certo un dato da inserire tra i negativi, soprattutto considerando che nel complesso nelle nuove società di capitali vi è una riduzione pesante, del 9,9%. 

Forse un po’ più preoccupante è l’ulteriore aumento della concentrazione geografica delle startup italiane nelle aree più dinamiche, le grandi città in particolare. In Lombardia passano da 2.928 a 3.218, di cui 2.282 nella sola provincia di Milano. Nella maggiore regione d’Italia vi è il 27,04% di tutte le aziende innovative del Paese. Nel 2019 questa percentuale era del 26,91%.

Così quelle del Lazio passano dall’11,28% all’11,62%. Milano e Roma quindi in testa, e subito dopo Napoli, novità dell’anno, in cui in un anno si sono registrate ben 106 aziende in più, un balzo notevole per una provincia dove nel 2019 ve ne erano solo 423. 

A fronte di questa concentrazione nelle province che ospitano le maggiori metropoli fa un passo indietro l’Emilia Romagna che ora ospita il 7,83% delle startup contro l’8,56% di un anno fa, e viene superata appunto dalla Campania.

Così diminuisce anche il peso numerico delle poche startup delle piccole regioni dove già ve ne erano meno, Sardegna, Umbria, Liguria, Basilicata, Abruzzo.

Naturalmente questa tendenza a un minore sviluppo delle aree periferiche o più di provincia del Paese non è positiva dal punto di vista dell’uguaglianza e dell’omogeneità del tessuto economico, provoca flussi migratori interni che tuttavia se ben gestiti ed accompagnati possono non essere necessariamente deleteri, e del resto avvengono in ogni economia avanzata.

Vi sono dei risvolti positivi della situazione: una startup che nasce in una città o in un’area in cui ve ne sono già molte altre si ritrova avvantaggiata dalla presenza di un ecosistema pronto ad accoglierla, con una disponibilità di capitali e di competenze che più difficilmente ritroverebbe in un territorio in cui fosse l’unica o quasi.

Decisivo ora nel 2021 sarà saper approfittare degli investimenti nell’economia digitale e nell’innovazione che il piano Next Generation EU mette a disposizione dei Paesi dell’Unione Europea e in particolare dell’Italia che ne riceverà la maggioranza relativa. 

Visti i campi di intervento sprecare questa occasione sarebbe certamente negativo per tutto il Paese, ma per le startup ancora di più.


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