Per le donne fare impresa spesso non è facile, sia nel nostro Paese che nel resto del mondo. Come mostrano i dati, per le donne che fanno impresa la strada verso la parità è ancora lunga, specie in Europa e in Nordamerica, anche se migliora in Asia, dove in alcuni Paesi le imprenditrici sono più numerose degli imprenditori. L’Italia risulta in linea con il resto dell’Occidente, dove solo un’attività imprenditoriale su cinque è guidata da una donna.
La situazione non è migliore nel mondo delle startup: negli Stati Uniti, per esempio, il 71% delle nuove imprese non ha donne nel team di lavoro e il 57% non ne ha nelle posizioni di vertice. Nello stesso settore, in Italia, la presenza femminile è addirittura più ridotta che nelle aziende.
Tutto ciò accade nonostante alcune ricerche abbiano rivelato come le startup fondate anche da donne abbiano maggiore probabilità di ricevere investimenti rispetto a quelle costituite da soli uomini. Altri studi, invece, sostengono che le donne siano più adatte a individuare i bisogni del mercato e a coglierne le opportunità.
Come si può, quindi, migliorare? Le proposte e le iniziative che sono state prese spaziano dalla formazione, all’adozione di una serie di normative volte ad incoraggiare le imprenditrici femminili. Partendo dai dati attuali a disposizione, vediamo qual è la situazione al momento e quali iniziative sono state prese per migliorare il settore dell’imprenditoria femminile.
Il Global Gender Gap Report del 2018, pubblicato dal World Economic Forum, ha affermato che serviranno almeno 108 anni per eliminare completamente il gender gap tra uomini e donne, e addirittura 202 per ottenere la parità tra i due generi sul posto di lavoro. Il divario, nel 2020, si è chiuso al 68%.
Al gender gap si accompagna il dato di un importante divario salariale che, nel 2019, è risultato essere quasi del 51%, mentre, nello stesso anno, solo il 34% dei leader d’azienda erano donne.
Anche se i dati finora analizzati mostrano che c’è ancora molto da fare per migliorare la situazione dell’imprenditoria femminile, ci sono Paesi nel mondo che si stanno muovendo nella giusta direzione. I dati del Global Entrepreneurship Monitor (GEM) 2018/2019, infatti, mostrano come Asia e Africa stiano facendo meglio dell’Europa.
La ricerca ha esaminato 49 economie mondiali, e soltanto sei di esse ha mostrato un eguale tasso di Tea (Total Early-Stage Entrepreneurial Activity) tra uomini e donne: due sono in Asia (Indonesia e Thailandia), una in America Latina (Panama) e tre in Medio Oriente e Africa (Qatar, Madagascar e Angola). Invece, sempre secondo GEM, in Europa e Nord America ci sono diverse economie in cui ancora esiste disparità di genere. In particolare, sono 6 i Paesi europei in cui le donne che avviano imprese sono meno della metà degli uomini: Slovenia, Grecia, Svezia, Svizzera, Regno Unito e Turchia.
I dati dell’Osservatorio per l’imprenditorialità femminile di Unioncamere e InfoCamere diffusi a marzo 2018 attestavano come in Italia, a fine 2017, il 21,86% del totale delle imprese produttive fosse a conduzione femminile. In sostanza, nel nostro Paese solo un’attività su cinque è guidata da una donna.
I dati però sono incoraggianti se si pensa che, rispetto al 2016, sono state iscritte al Registro delle Camere di commercio quasi 10 mila imprese femminili in più, e quasi 30 mila in più rispetto al 2014.
Inoltre, confrontando i dati del 2014 e 2017, si può apprezzare un aumento del 17% delle società di capitali condotte da donne. Al contrario, le società di persone e le imprese individuali, il modello più diffuso nell’imprenditoria femminile, si stanno progressivamente riducendo.
Le donne imprenditrici sono aumentate in 14 regioni su 20, in particolare in Sicilia, Lazio, Campania e Lombardia. Questo dato positivo si deve all’aumento delle imprese femminili attive nel settore turistico e nelle altre attività dei servizi, soprattutto servizi alla persona.
La situazione dell’imprenditoria femminile non migliora di certo nel settore delle start up. Come evidenzia la Startup Outlook 2018 survey pubblicata da Silicon Valley Bank (SVB), il 71% delle startup statunitensi non ha donne nel board e il 57% non ne ha nella cosiddetta C-Suite (le posizioni lavorative che iniziano con la C come CEO, Chief Innovation Officer ecc.). CrunchBase, un super archivio delle startup mondiali, conferma indirettamente questi dati: infatti, nel 2017, solo il 17% delle giovani imprese innovative aveva una co-founder donna.
L’imprenditoria femminile statunitense, però, potrebbe subire una svolta positiva. Infatti, il 41% delle startup made in USA ha dichiarato di avere in corso un programma per aumentare il numero delle donne in posizioni di leadership. Un bel miglioramento se si pensa che l’anno precedente erano solo il 25%.
Il contesto è migliore in Cina, dove quasi i due terzi delle startup hanno donne nella C-suite e più di metà nei consigli di amministrazione. Alla Cina si affianca la Gran Bretagna, dove le condizioni dell’imprenditoria femminile sono migliori rispetto agli Stati Uniti.
E in Italia? Secondo il rapporto di InfoCamere sulle startup innovative in Italia, pubblicato dal Ministero dello Sviluppo economico a gennaio 2019, la leadership femminile ha ancor più difficoltà ad affermarsi nelle imprese giovani rispetto a quelle consolidate. Su 9.758 startup considerate, quelle in cui le quote di possesso e le cariche amministrative sono detenute in maggioranza da donne risultano essere 1.300, cioè appena il 13,3% del totale. Il dato sale al 22,2% se si prende in esame l’universo delle neo-società di capitali. Solo nel 43,1% dei casi è presente almeno una donna nella compagine sociale, dato che sale al 47,7% per le altre nuove società di capitali.
Non si registra un alto tasso imprenditoria femminile neppure nel settore del venture capital statunitense. Negli Stati Uniti, infatti, nel 2018 le società fondate da sole donne hanno raccolto soltanto il 2,3% del venture capital circolante. Tale cifra, però, è in minima crescita, tanto che nel 2020 sono nati diversi fondi e incubatori per imprese al femminile.
Da quel che appare, le statistiche sembrano indicare che, ad oggi, le startup non sono un “affare per donne”. Eppure alcuni studi dimostrano una correlazione positiva delle performance aziendali con leadership femminile sia nelle startup sia nelle aziende tradizionali.
La Silicon Valley Bank, per esempio, rivela che le startup co-fondate da donne negli USA hanno il doppio delle probabilità di ricevere investimenti rispetto a quelle fondate da soli uomini. Secondo il Global Business Entrepreneurship Monitor 2016/17, invece, le imprenditrici hanno il 5% di probabilità in più di proporre business innovativi rispetto agli uomini. Il Kauffman Index: Startup Activity 2017, invece, asserisce che le donne sono più adatte a individuare i bisogni del mercato e a coglierne le opportunità. Infine, il CS Gender 3000 del Credit Suisse Research Institute ha dichiarato che più è elevata la percentuale di donne nel top management delle aziende, maggiori sono i ritorni per gli azionisti.
Qual è invece la situazione nel nostro Paese? Secondo l’agenzia europea Eurofund, l’Italia è il paese europeo con il minor tasso di partecipazione femminile al lavoro. Il dato è 54,4% contro una media europea del 63,5%. La sotto-occupazione femminile costa al nostro Paese il 5,7% del Pil. Far partecipare più attivamente al mondo del lavoro le donne produrrebbe nuova ricchezza per un valore pari all’11% del Pil.
Gli studi che dimostrano i vantaggi che deriverebbero da un incoraggiamento dell’imprenditoria femminile sono tanti. Perché allora le donne hanno difficoltà a trovare lavoro e, quando lo trovano, percepiscono retribuzioni più basse rispetto agli uomini?
Il Global Gender Gap Report 2018 pubblicato dal World Economic Forum ha evidenziato come l’avvento dell’automazione sta avendo un impatto sproporzionato sui ruoli tradizionalmente svolti dalle donne. Allo stesso tempo, la presenza delle donne è ridotta nei settori maggiormente in crescita occupazionale che richiedono conoscenze e competenze matematico-scientifiche.
In Italia, invece, le competenze digitali, sempre più richieste dalle imprese in fase di selezione, rimangono una prerogativa dei candidati di sesso maschile. A confermarlo vi è la recente ricerca LinkedIn Recruiter Sentiment Italia 2019, dove è emerso che il 45% dei responsabili HR italiani sostiene che ci sono più candidati uomini dotati di competenze digitali rispetto alle donne.
Il divario di genere è dovuto probabilmente anche alla carenza di infrastrutture in grado di aiutare le donne ad entrare o rientrare nel mondo del lavoro, come asili o centri di assistenza per anziani.
Dato che il problema potrebbe essere anche di natura sociale e culturale, offrire al pubblico femminile role model diversificati che possano creare maggiore consapevolezza nella scelta delle proprie passioni potrebbe essere una delle possibili soluzioni.
Per favorire e incrementare il lavoro femminile, molte donne lavoratrici si sono riunite in associazioni ed elaborano progetti comuni per supportare il ruolo della donna nel mondo del lavoro.
In Italia, per esempio, vi è il CIF (Comitato imprenditoria femminile della Camera di commercio di Milano). Il CIF è la rete dei Comitati per l’imprenditoria femminile del sistema camerale per la promozione delle donne nel mondo lavorativo. È il primo protocollo d’Intesa per il sostegno e la promozione nel settore, siglato nel 1999, e negli anni ha portato avanti alcune iniziative a sostegno delle donne imprenditrici, come ad esempio il tentativo di migliorare l’accesso al credito alle donne.
A livello europeo, dal 2017 esiste l’European women in VC. Si tratta di un gruppo di oltre 350 donne partner o fondatrici di fondi di venture capital provenienti da oltre 20 paesi europei con un totale attivo in gestione di circa 15 miliardi di euro. Oggi l’iniziativa è supportata da 19 ambasciatrici in Europa ed in Israele.
Le associazioni che si battono per promuovere l’imprenditoria femminile sono tante. Tra queste è ricompresa anche la Women&Tech – associazione donne e tecnologie nata nel 2009 con l’intento di valorizzare il talento femminile nella tecnologia, nell’innovazione e nella ricerca scientifica. L’associazione promuove il Premio internazionale Tecnovisionarie e, nel 2020, il riconoscimento è stato attribuito a donne che, nella loro attività lavorativa, hanno dimostrato di possedere visione e forte etica professionale sull’economia circolare.
Il PoliHub, incubatore d’impresa del Politecnico di Milano, sostiene il mondo femminile contribuendo a promuovere le competenze scientifiche e matematiche per le donne.
Non solo, PoliHub ha sviluppato anche un progetto internazionale, Mommypreneurs. Il progetto, finanziato dal fondo EEA and Norway Grants for Youth Employment, Islanda, Liechtenstein e Norvegia, ha lo scopo di sostenere l’occupazione giovanile in tutta Europa, contribuendo alla riduzione delle disparità sociali ed economiche. Il fondo ha stanziato 60 milioni di euro a favore di progetti transnazionali per l’occupazione giovanile, con destinatari giovani adulti tra i 15 e 29 anni. PoliHub, che ha sviluppato il progetto nel nostro Paese, ha fino ad ora formato oltre 70 mamme in competenze digitali e imprenditoriali.
Un ultimo esempio di sostegno economico in questo contesto è quello della Banca europea per gli investimenti (BEI) e di Unicredit. Una prima linea di credito della BEI da 200 milioni di euro riguarda i progetti delle PMI localizzate in tutta Italia, con una quota fino al 25% del totale destinata a imprese gestite o controllate da donne. Una parte del totale, fino al 40%, riguarderà invece progetti di PMI innovative o finalizzati all’innovazione. Alcune analisi preliminari affermano che con questo finanziamento verranno sostenuti circa 25 mila posti di lavoro e circa 500 aziende controllate o gestite da donne. L’operazione è la principale per dimensione del finanziamento ed è una delle prime ad essere perfezionata in Europa.
UniCredit, invece, ha il compito di selezionare i progetti e gestire i finanziamenti alle aziende. Questi progetti possono avere un costo individuale massimo di 25 milioni di euro. Unicredit può arrivare a coprire con fondi BEI il 100% dell’investimento fino a 12,5 milioni di euro. Inoltre, la banca ha in programma di raddoppiare la linea di credito BEI con risorse proprie, facendo salire la linea di credito fino a 400 milioni di euro.