La competitività del “Sistema Italia” si rafforza malgrado la pandemia. Secondo EY, nel 2020 sono aumentati del +5% i progetti di investimenti dall’estero nel nostro Paese, in controtendenza con la media europea. La quota di mercato dell’Italia resta comunque ancora contenuta rispetto agli altri grandi Paesi europei, a causa del peso di burocrazia e incertezza regolatoria.
È questo lo scenario delineato dall’EY Europe Attractiveness Survey, studio che analizza l’andamento degli investimenti esteri in Europa e che sonda le percezioni degli investitori internazionali con l’obiettivo di indagare quale sia il livello di attrattività di ciascun Paese.
Nel 2020 l’Italia è stata tra le nazioni più duramente colpite dall’emergenza Covid-19, eppure si scopre essere uno dei pochi Stati europei ad aver registrato una crescita del numero degli IDE in entrata rispetto al 2019. A fronte di un calo complessivo del 13% a livello europeo, il nostro Paese segna un rialzo di 5 punti percentuali, per un totale di 113 nuovi progetti (in programma o già in fase di implementazione). Tuttavia, nonostante sia la quarta economia in termini dimensionali, l’Italia detiene soltanto il 2% degli investimenti diretti totali in Europa, piazzandosi al dodicesimo posto nella graduatoria continentale per quota di mercato dei singoli Paesi.
Ad aver registrato una battuta d’arresto negli investimenti dall’estero sono stati in particolare Spagna (-27%), Paesi Bassi (-24%) e Russia (-26%), ma i risultati non sono stati incoraggianti neppure in Francia (-18%), Regno Unito (-12%), Germania (-4%). Soffrono anche i Paesi dell’Europa centro-orientale con l’Ungheria che registra un calo vertiginoso del 54%. Compiono invece un gran balzo in avanti Svizzera (+25%), Finlandia (+23%) e Turchia (+18%).
L’Italia rientra nei piani di espansione di quasi la metà del campione intervistato. Il 48% dei rispondenti della ricerca EY si dice pronto a stabilire o espandere le proprie attività nel Paese entro il prossimo anno.
Praticamente la totalità delle aziende operanti nel settore tecnologico e digitale si dichiara interessata a investire in Italia. Seguono i player delle telecomunicazioni (75%), dell’energia (71%) e dei servizi finanziari (70%). Si mostrano più cauti invece coloro che operano nella manifattura avanzata (33%) e nell’industria dei media e dell’intrattenimento (17%).
A prevalere è un clima di ottimismo e fiducia sul futuro del sistema economico nazionale: il 60% delle aziende coinvolte esprime infatti la convinzione che nei prossimi tre anni l’attrattività dell’Italia si rafforzerà (42%) o addirittura migliorerà in maniera considerevole (18%).
Per Marco Daviddi, EY Strategy and Transactions Leader, Mediterranean Region, “gli investitori esteri guardano all’Italia con rinnovata fiducia ed ottimismo. Il 60% dei manager intervistati è infatti convinto che nei prossimi tre anni il paese migliorerà la propria competitività a livello europeo e quasi la metà si dichiara pronto ad espandere le proprie attività sul nostro territorio. Una porzione rilevante di nuovi flussi d’investimento punta all’Italia per il proprio know-how tecnico e per la qualità del capitale umano. Occorre lavorare su questi aspetti per valorizzare le eccellenze del nostro paese anche in ambiti a maggior valore aggiunto, tra cui ricerca e sviluppo, processi produttivi e relativi controlli di qualità. Le infrastrutture esistenti non sono viste come un limite agli investimenti, nonostante la disomogeneità in varie aree del paese, che necessitano di investimenti per guadagnare competitività. Rafforzare la domanda interna è un’ulteriore leva attivabile per consentire di attrarre più investimenti in futuro, con un conseguente impatto su occupazione e crescita”.
Ad attrarre la fetta più grossa degli investimenti esteri in Italia nel 2020 sono il settore dei servizi alle imprese (13%), e quello della progettazione di software e servizi IT (12%). Anche se quest’ultimo subisce una discesa di 5 punti rispetto al 2019. A crescere nell’anno della pandemia sono soprattutto il comparto logistica e wholesale (12%), finanza (8%) e farmaceutico (7%). Mentre per il settore dei macchinari e attrezzature industriali (5%) e per quello tessile (4%) si sono registrate le flessioni più marcate, dovute al clima di incertezza durante i mesi di lockdown.
Gli investimenti esteri destinati al nostro Paese sono in parte improntati al potenziamento della forza commerciale e del marketing (il 22% dei progetti d’investimento in Italia). Questa tipologia di progettualità è finalizzata in particolare a intercettare la domanda interna, con servizi e prodotti dedicati alle esigenze locali di consumo. Al contempo, tuttavia, crescono gli investimenti in funzioni a maggior valore aggiunto, volti a valorizzare il know-how tecnico e imprenditoriale italiano, soprattutto in ambito di processi di produzione (19% dei progetti) e ricerca e sviluppo (15%).
Senza troppe sorprese, le risorse maggiori verso il nostro Paese arrivano dalle nazioni con maggiore prossimità e con cui l’Italia intrattiene da sempre solide relazioni commerciali. In testa alla classifica degli investimenti diretti esteri in Italia nel 2020 risultano infatti gli Stati Uniti (24%), seguiti da Francia (16%), Germania (12%) e UK (9%). Si posiziona invece più indietro la Cina (4%), che sopravanza di poche lunghezze il Giappone (3%).
L’analisi di EY evidenzia come gli IDE non seguano una distribuzione omogenea sul territorio nazionale, essendo concentrati nelle regioni caratterizzate dalla presenza dei distretti industriali più innovativi (a titolo di esempio meccatronica, lusso e design, mobile, tessile, biomedicale), soprattutto nel Nord-Ovest (58% degli IDE) e Centro Italia (24%). Si tratta di territori caratterizzati da infrastrutture, fisiche e digitali, più interconnesse, con aree densamente popolate, che hanno sviluppato avanzate piattaforme logistiche al servizio dell’omnicanalità.
Nonostante l’attrattività di numerosi comparti dell’economia, restano delle criticità da affrontare al fine di incrementare l’attrattività del Paese. In primis, l’incertezza a livello di regolamentazione, che viene indicata come questione più urgente dal 58% degli intervistati. Tra le criticità evidenziate, i manager menzionano poi un eccessivo carico burocratico per il business (55%).
Tagliare le tasse (29%), supportare le piccole e medie imprese (28%) e ridurre il costo del lavoro (28%) sono le altre tre macro-aree d’intervento che, a detta dei manager intervistati, permetterebbero di dare una spinta decisiva alla competitività italiana.
Gli autori della ricerca fanno notare come, restringendo il campo di analisi ai soli investitori che hanno già stabilito proprie attività in Italia, tra i primi obiettivi dell’agenda politico-economica del Paese risulta più rilevante l’incentivazione delle policy di sostenibilità ambientale e transizione verde (35%), mentre meno importante appare l’intervento sul costo del lavoro e la tassazione (20%).