Salito agli onori delle cronache ormai qualche anno fa con l’avvento delle criptovalute, il settore delle blockchain sta in questo momento attraversando una fase di normalizzazione, con numerose realtà che vedono in questa tecnologia una possibilità di guadagno e semplificazione del proprio business. A livello mondiale il settore sembra inoltre aver retto la crisi economica successiva all’emergenza sanitaria, con un aumento della realizzazione dei progetti concreti, anche se in Italia sono rimaste diverse incertezze soprattutto relative agli elevati costi operativi e di sviluppo, oltre ovviamente alla scarsità di personale adeguatamente formato che spinge molte aziende a puntare sull’outsourcing.
La crescita di interesse globale per il settore della blockchain è stata testimoniata anche da una ricerca effettuata dall’Osservatorio Blockchain & Distributed Ledger, che in riferimento all’anno 2020 ha rilevato un incremento di progetti pilota e progetti operativi del 59%, seppur contrastata da un contestuale calo dell’80% degli annunci su futuri progetti di blockchain, che nella maggior parte dei casi si risolvono in un nulla di fatto. C’è da precisare ovviamente che in un periodo di crisi economica come quello che stiamo vivendo appare naturale aspettare nel lanciare sul mercato nuovi business concentrandosi invece sugli investimenti in corso. Si tratta di un segnale importante che denota una maturazione del mercato e una maggiore propensione nella creazione di ecosistemi.
Nonostante ciò, nel corso dell’ultimo anno sono stati comunque 267 (70 annunci e 197 progetti concreti) i progetti blockchain avviati in tutto il mondo, sia da aziende private che da pubbliche amministrazioni. Protagonisti del settore negli ultimi cinque anni sono gli Stati Uniti con ben 72 progetti avviati, seguiti dalla Cina con 35, dal Giappone con 28, dall’Australia con 23, dalla Corea del Sud con 19 e dall’Italia con 18. Anche nel caso del nostro Paese la maggioranza degli investimenti – circa il 60% - è destinata a progetti operativi. Tra i diversi settori invece, ad essere maggiormente rappresentato è quello finanziario e bancario con il 58% di spesa, seguito dall’agroalimentare con l’11%, dallo utility con il 7% e dalla pubblica amministrazione con il 6%.
A fotografare la situazione del settore blockchain nel Balpaese è stato invece l’Osservatorio Ibno, ente nato dalla collaborazione tra l’azienda Cryptodiamond, l’associazione di categoria Italia4Blockhain e l’Università Federico II di Napoli, che hanno recentemente pubblicato un report in cui viene analizzato lo sviluppo del settore nel nostro Paese durante i sette mesi che vanno da novembre del 2019 a maggio del 2020.
I risultati emersi dall’analisi dell’osservatorio (il cui campione è stato suddiviso in un 62% di imprese provider e un 38% di user) delineano uno scenario sicuramente propositivo ma purtroppo ancora piuttosto acerbo, con soltanto il 33% delle imprese di tipo user intervistate che ha dichiarato di aver registrato un aumento delle vendite con l’introduzione della tecnologia blockchain nei propri processi produttivi. Scendendo nel dettaglio si scopre che la maggior parte di queste aziende fortunate sono realtà facenti parte dei settori finanziario e agroalimentare.
Per contro, l’altro 67% delle aziende user ha confermato di non aver ottenuto un effettivo ritorno economico, ma piuttosto un incremento delle proprie conoscenze e del know how necessario per lo sviluppo di questo tipo di tecnologia. Un guadagno che risulterà dunque spendibile prevalentemente sul lungo termine.
Tra le difficoltà maggiori che però sia le aziende user che quelle provider hanno registrato vi sono quelle inerenti i costi operativi, energetici e di sviluppo della tecnologia blockchain, uniti agli aspetti puramente tecnici del settore, che spesso a causa della loro complessità non sono facilmente integrabili all’interno delle classiche procedure aziendali.
Il 62% degli user ha infatti lamentato come primo ostacolo relativo alle blockchain quello dei costi elevati per il mantenimento delle infrastrutture, contro il 31% delle imprese provider, mentre il 38% degli intervistati tra le aziende user ha avuto difficoltà nell’implementare l’architettura strutturale della tecnologia all’interno del proprio modello di business a fronte di un 35% analogo tra i provider. Questi ultimi hanno poi aggiunto tra le difficoltà anche quelle riguardanti gli aspetti di carattere organizzativo e manageriale (per il 20%) nonché di governance dei processi (per il 14%).
Sempre nel report dell’Osservatorio Inbo viene analizzato anche l’attuale livello di sviluppo della tecnologia in questione da parte delle aziende, tutte relativamente giovani e spesso alla loro prima esperienza con le blockchain. Il 52% delle aziende user ha dichiarato di aver già avviato un progetto in ambito blockchain, in percentuale lievemente inferiore al 60% delle aziende provider. Per quanto riguarda invece i progetti ancora in fase di sviluppo questi sono stati adottati dal 25% delle imprese user e dal 18% di quelle provider.
Partendo da qui possiamo notare una notevole differenziazione nelle tipologie di utilizzo adottate dalle aziende. Se infatti il 61% degli user ha dichiarato nell’analisi di aver adoperato una tipologia di blockchain pubblica, soltanto il 13% di questi ha invece optato per una blockchain privata, lasciando il restante 26% con una preferenza per le blockchain ibride. In ambito provider le percentuali risultano invece ancora più sbilanciate, con il 54% che privilegia una blockchain pubblica, il 43% che utilizza soluzioni ibride e infine soltanto il 3% che ha scelto una soluzione di tipo privato.
A ciò si aggiunge l’ambito per il quale viene utilizzata la tecnologia blockchain. Nel 60% delle imprese user essa viene infatti integrata per garantire la tracciabilità sulle proprie attività, mentre il 30% la usa invece nei processi di notarizzazione dei documenti aziendali. Infine un altro 10% sfrutta la blockchain per i processi di acquisto evitando così di rivolgersi a intermediari esterni.
Ulteriore particolare degno di nota nello sviluppo del settore in Italia è la difficoltà nelle ricerca di un modello di business adeguato, che spesso coincide con la scarsa esperienza dei membri interni dell’azienda relativamente alla tecnologia usata. Da qui, l’impiego massiccio di personale in outsourcing, come spiega bene anche il report dell’Osservatorio: “Molte imprese, user della tecnologia, si trovano a fare i conti con un personale interno non qualificato per gestire lo sviluppo di un progetto all’avanguardia. Per questo motivo, l’outsourcing si distingue come una soluzione economica più efficace e che può portare a risultati più rapidi”.
In ultima analisi, l’Osservatorio Ibno evidenzia nuovamente lo stadio prematuro in cui si trova il settore delle blockchain in Italia, non ancora adatto a soddisfare le esigenze di tutti gli ambiti aziendali nonostante molti imprenditori credano invece il contrario: “Non si è in presenza di una bacchetta magica per tutti i problemi; la blockchain funziona meglio in circostanza nelle quali più parti sono coinvolte in transazioni che richiedono fiducia e trasparenza”.
In situazioni che non richiedono elevati livelli di affidabilità o dove esistono soluzioni meno complesse e costose, l’utilizzo della blockchain risulterebbe pressoché inutile se non controproducente. A questo si aggiungono i già citati ostacoli dei costi d’investimento e dei grandi sforzi manageriali per implementare un sistema del genere, uniti a una mancata attitudine delle istituzioni governative nell’accettare una cambiamento tecnologico ed economico di questa portata. Finché queste difficoltà non saranno quantomeno in parte risolte, il settore delle blockchain rimarrà confinato in un ambito sperimentale dal quale in pochi ne potranno godere veramente.