La pandemia ha per forza di cose aiutato, e in alcuni ambiti anzi è stata decisiva per accelerare processi che altrimenti sarebbero stati lenti, troppo lenti anche per un Paese come l’Italia che da circa 25 anni sembra avere messo il freno a mano alla propria crescita, quando non ha innestato proprio la retromarcia.
E tuttavia la progressiva adozione di tecnologie digitali e di strumenti informatici anche da parte delle nostre imprese appariva una realtà ineluttabile anche prima del Covid19. Pur con le consuete differenze che sussistono in base alle dimensioni delle aziende, i settori, le aree geografiche
Un indicatore certamente positivo è quello riguardante l’aumento della percentuale di dipendenti che per lavorare usano un computer collegato alla rete. Nel 2020 sono diventati il 53%. Solo 10 anni prima, nel 2010, erano il 20% in meno, il 33%. E se allora la distanza dalla media europea, del 42%, era notevole ora è solo di 3 punti.
Si è ridotto anche il divario con la Germania, in cui nello stesso lasso di tempo tale percentuale è passata dal 49% al 59%. E se i livelli raggiunti nei Paesi nordici, dove si supera l’80%, sembrano ancora inarrivabili, certamente questo progresso è degno di nota, soprattutto perché intervenuto in un periodo di crisi o bassa crescita e in un Paese che rimane tra i più manifatturieri d’Europa e meno basato sui servizi avanzati come altri.
Il dato riguarda però le imprese con più di 10 addetti. Sappiamo come una quota significativa dei lavoratori italiani sia occupata in micro-imprese. E tuttavia almeno in questo caso il fattore dimensionale sembra contare meno. La percentuale di dipendenti connesso alla rete cresce solo di 4 punti passando dalla piccola alla grande impresa.
Più importanti i divari legati al settore. Con il 95% dei lavoratori dell’ICT che è connesso nel nostro Paese, e meno di metà di quelli dell’industria manifatturiera.
Importante il miglioramento intervenuto nel commercio al dettaglio, un ambito importante in Italia, che raccoglie molta forza lavoro, dove si è passati tra il 2010 e il 2020 dal 21% al 58%, con un balzo di ben 9 punti l’anno scorso. Qui la pandemia ha giocato sicuramente un ruolo importante, ancora più decisivo nel nostro Paese, dove le chiusure e le restrizioni sono state più incisive della media europea.
Molto da fare rimane però sul versante della velocità della rete. A correre a più di 100Mb/s l’anno scorso era solo un terzo delle imprese italiane, contro una media europea del 46% e un picco del 75% in Danimarca. Ma si scende al 15% tra le piccole aziende
Un altro ambito in cui i margini di miglioramento sono ancora molti è quello dell’e-commerce. Oggi sono il 16% le imprese che vendono anche online, una percentuale inferiore a quella media UE, del 21%, e lontana dai livelli raggiunti in Irlanda, il 39%, o in Svezia e Danimarca, dove si supera il 35%.
Si tratta però di una differenza fisiologica, dovuta a diversi fattori strutturali, come per esempio la specializzazione del nostro Paese nel B2B più che sul B2C, oltre che la prevalenza della piccola impresa, che è meno propensa a questa tipologia di commercializzazione dei propri beni e servizi.
Non a caso guardando solo alle aziende più grandi, quelle con più di 250 addetti, i divari rispetto agli altri Paesi appaiono meno rilevanti. In questo segmento quelle che si affidano anche all’e-commerce sono in Italia il 40%, poco meno della media europea del 43%, mentre si scende al 15% tra le imprese con meno di 50 dipendenti.
Quello che va sottolineato in questo caso è il miglioramento intervenuto negli anni. Se nel 2010 e 2011 le realtà che cercavano di vendere online erano solo il 5%, in 10 anni sono più che triplicate. E tale incremento ha coinvolto tutte le tipologie di imprese, di ogni dimensione e settore.
La vocazione industriale del nostro Paese in questo campo è visibile in un altro dei molti indicatori legati all’adozione di tecnologia da parte delle imprese, quello che riguarda l’utilizzo di robot.
In media siamo tra i Paesi in cui le aziende ne fanno più uso. Se si considerano solo quelle medie, tra i 50 e i 250 addetti, sono il 19% quelle in cui i robot fanno parte del processo produttivo, una percentuale superata solo in Danimarca.. In Germania per esempio sono solamente il 12%, e la media europea è del 13%.
Arriviamo al 29% nel segmento delle grandi imprese.
Non solo, eccelliamo anche nell’utilizzo dell’internet of Things (IoT), adottato dal 23% delle aziende italiane, più della media europea del 18%. In questo caso anche le più piccole fanno meglio di quelle con le stesse dimensioni di gran parte degli altri Paesi.
Chiaramente l’uso più frequente di questa tecnologia si raggiunge nell’ambito della manifattura e del settore ICT in cui sono il 27% le imprese che l’adottano.
La sfida per i prossimi anni è quella di trasferire quegli spazi di innovazione tecnologica e di eccellenza che sono concentrati in alcuni ambiti ben delimitati dell’industria, come quella manifatturiera B2B del Nord Italia, e in distretti ad alta vocazione all’export, al resto dell’economia, al settore dei servizi per esempio, che negli ultimi anni è quello che ha trascinato verso il basso la produttività generale del sistema Italia.
Sarà fondamentale in questo senso un uso efficiente di quei fondi del Next Generation Eu destinati non solo alla digitalizzazione delle imprese e della Pubblica Amministrazione, ma soprattutto alla formazione di studenti e lavoratori e al trasferimento di competenze digitali verso questi ultimi.
Perchè in un mondo che va sempre di più in direzione dei servizi avanzati un Paese di 60 milioni di abitanti che ha già in gran parte mancato la rivoluzione informatica non può basarsi solo su alcune eccellenze, ma ha bisogno di saper adottare e usare le nuove tecnologie in modo diffuso ed estensivo, dal piccolo negozio alla grande impresa, nel settore turistico e della ristorazione come nell’ICT.