Nonostante il brusco arresto subito tra aprile e maggio, nel 2020 il mercato del Private Equity si è rivelato decisamente resiliente. A livello globale il valore delle operazioni di buyout è stato di 592 miliardi di dollari, con un balzo dell’8% rispetto alla performance del 2019, a fronte di un numero di deal in calo del 24% (circa 1.000 deal in meno nel 2020). È quanto emerge dal dodicesimo Global Private Equity Report, l’analisi annuale di Bain & Company.
“Il Private Equity ha tenuto bene in un contesto nuovo e burrascoso. Il mercato ha assorbito i cali del secondo trimestre, chiudendo l’anno su livelli complessivamente elevati, con i dealmakers che si sono adattati rapidamente a operare da remoto. La domanda repressa degli investitori, gli elevati livelli di liquidità, la solidità dei mercati del credito e le economie in ripresa si tradurranno in un 2021 in fermento per il Private Equity”, ha commentato Hugh MacArthur, responsabile dell’attività di Private Equity di Bain & Company.
Secondo il report, i settori che si sono dimostrati più resistenti durante la crisi pandemica – tech, beni industriali, servizi finanziari e sanitari – hanno rappresentato oltre il 65% delle operazioni chiuse nel 2020 e sono destinati ad essere protagonisti del mercato anche quest’anno.
Nella sua analisi, Bain & Company ha rilevato due trend a livello globale che hanno accelerato la propria corsa nel 2020 e che sembrano destinati a caratterizzare anche il 2021.
Nonostante la campagna vaccinale in corso, le stime suggeriscono che complessità e incertezze per le economie globali probabilmente persisteranno fino al 2022 con un impatto significativo sul mercato. La competenza settoriale degli investitori sarà assolutamente importante. Molte industrie sono cambiate profondamente sulla scia del Covid-19 in modi che possono alterare i modelli di business, pertanto è assolutamente necessario conoscere i settori in cui si investe.
Inoltre, sottolinea l’analisi, le società di Private Equity dovranno accelerare la transizione al digitale: la pandemia ha messo in luce quanto un’industria basata sull’analogico fosse inefficiente e questo aspetto sarà fondamentale per diventare più competitivi negli anni a venire.
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Scopri il crowdfunding →Guardando all’attività di inizio anno, i dati di gennaio e febbraio 2021 indicano che il valore globale dei deal è superiore del 60% alla media dello stesso periodo registrata nell’ultimo quinquennio.
Per alcuni aspetti, il rapido rimbalzo dell’industria non deve rappresentare un elemento di sorpresa: uno dei punti di forza del Private Equity è proprio la sua capacità di prosperare durante i periodi di sconvolgimento economico.
Le flessioni dei mercati tipicamente offrono ai fondi di Private Equity un’opportunità per scovare asset in difficoltà e cavalcare i rialzi, come testimoniano i rendimenti positivi registrati dai fondi negli anni che hanno seguito le ultime due crisi economiche, quella del 2002 e del 2009. “Tuttavia, questa crisi è stata diversa” - si legge nel report - “se consideriamo che ci sono voluti quasi sette anni perché l’indice S&P 500 tornasse ai suoi massimi pre-crisi dopo la crisi finanziaria globale del 2008-09, e invece questa volta l’indice di riferimento della Borsa di New York ha recuperato le perdite in 150 giorni e ha chiuso l’anno in rialzo del 16% rispetto a come era stato avviato”.
“Anche durante l’anno del COVID-19, il mercato italiano del Private Equity si è dimostrato resiliente. Dopo il calo del secondo trimestre, il numero di deal è tornato a crescere e ha chiuso l’anno in linea con il 2019, con un buon bilanciamento degli investimenti da parte di fondi internazionali e locali. A livello settoriale c’è stata una prevalenza di investimenti nel settore tecnologico, sanitario, dei beni industriali e dei servizi finanziari, che nel complesso hanno totalizzato quasi 2/3 delle transazioni” ha commentato Roberto Fiorello, responsabile della practice di Private Equity di Bain & Company in Italia.