L'innovazione digitale nelle imprese italiane di piccole e medie dimensioni appare ancora limitata a specifici servizi e strumenti operativi: a mancare è in primo luogo un approccio organico e sistemico sostenuto da una solida cultura digitale e orientato ad una revisione strategica dei processi aziendali. Eppure, le realtà più mature digitalmente mostrano maggiore resilienza e migliori performance economiche.
È la fotografia scattata dall’Osservatorio Innovazione Digitale del Politecnico di Milano che ha analizzato quasi 220 mila PMI, quelle realtà che hanno tra i 10 e i 249 addetti e un fatturato inferiore ai 50 milioni di euro annui (escluse quindi ditte individuali e microimprese).
Sebbene rappresentino numericamente solo il 5% su un totale di circa 4,4 milioni di imprese attive in Italia, le PMI prese in esame sono responsabili da sole del 41% dell’intero fatturato generato in Italia, del 33% dell’insieme degli occupati del settore privato e del 38% del valore aggiunto del Paese.
Su questo segmento di imprese, un pilastro del tessuto imprenditoriale italiano, la congiuntura economica negativa dell'ultimo anno ha avuto un impatto rilevante, con effetti di lungo periodo ancora incerti.
Secondo la ricerca, realizzata in collaborazione con Capterra, la pandemia ha accelerato il ricorso ad alcuni strumenti digitali, e non poche imprese hanno saputo cogliere le potenzialità offerte dalle nuove tecnologie. Andrea Rangone, Responsabile Scientifico degli Osservatori Digital Innovation, evidenzia come "le PMI più mature digitalmente mostrano una più elevata resilienza e produttività: risultano avere in media prestazioni economiche migliori rispetto alle altre in termini di utile netto (+28%), margine di profitto (+18%), valore aggiunto (+11%), ed EBITDA (+11%), oltre ad avere riscontrato minori rallentamenti operativi quando si è verificata l'emergenza da COVID-19".
Tuttavia, si può parlare di approccio avanzato al digitale solo nel 9% dei casi; e in 4 aziende su 10 (il 42%) le competenze sono ancora limitate o distribuite in maniera non omogenea tra il personale.
Nell'ultimo anno, la crisi ha spinto forzatamente le PMI verso le tecnologie digitali: una spinta obbligata verso strumenti e servizi che consentono, da un lato, di portare avanti l'operatività aziendale e, dall'altro, di sostenere i fatturati in forte contrazione.
Le PMI che fanno eCommerce, storicamente in ritardo rispetto alle grandi imprese e alle controparti europee, sono cresciute di oltre il 50% rispetto al periodo pre-COVID: tale aumento è imputabile prevalentemente ad una maggiore presenza su piattaforme eCommerce di terze parti, cui le PMI si sono rivolte per riuscire a raggiungere nuove fette di clienti durante i periodi di chiusura forzata dei canali fisici. Per 4 su 10, infatti, l'eCommerce sarà una priorità di investimento per il 2021.
Il ricorso al lavoro da remoto, le pratiche di rotazione dei turni dei dipendenti e le esigenze di distanziamento sociale hanno portato ad un incremento nell’adozione di soluzioni digitali per lo scambio di dati e informazioni aziendali. Da un lato 9 PMI su 10 gestiscono in maniera elettronica almeno una parte dei propri documenti aziendali, come documenti di trasporto o conferme d'ordine. Dall'altro, si è registrato un forte aumento dei servizi in Cloud, fruiti dal 69% delle PMI, dovuto principalmente ad un maggiore utilizzo dei servizi software di base, e in minor parte a investimenti infrastrutturali in Cloud.
"Al netto di questi segnali incoraggianti, però, i dati evidenziano una situazione ancora critica sia dal punto di vista culturale e di competenze, sia da quello tecnologico" dichiara Giorgia Sali, Direttrice dell'Osservatorio Innovazione Digitale nelle PMI. "Solo il 21% delle aziende ritiene di essere molto avanti o a buon punto nel percorso di trasformazione digitale; un ulteriore 36% afferma di stare puntando maggiormente sul digitale in risposta alla crisi da COVID-19. Rimane di contro una buona parte di imprese (43%) che continua a mostrare delle resistenze legate ai costi troppo alti (15%) e all'idea che il digitale sia marginale per il proprio settore di attività (27%)".
A mancare è in primo luogo il know-how: il 42% delle PMI dichiara di possedere competenze digitali basse (17%) o distribuite in maniera non omogenea tra il personale aziendale (25%), che rendono difficile l'implementazione e l'utilizzo diffuso di nuove tecnologie.
L'accessibilità dei dati e delle informazioni al di fuori degli edifici aziendali, raggiunta completamente solo dal 3% delle PMI, rimane ancora un obiettivo lontano da conseguire. Nella maggior parte dei casi, infatti, l'accesso è consentito esclusivamente (18%) o prevalentemente (53%) presso la sede.
I risultati della ricerca evidenziano in definitiva un gap culturale: emerge che solo il 9% delle realtà possiede un approccio "avanzato" rispetto al digitale, ossia cerca di anticipare il cambiamento con una visione strategica del percorso di innovazione.
In questo contesto - sottolineano gli autori del rapporto - “per stimolare la digitalizzazione delle PMI il NextGenEU può giocare un ruolo importante. Sono senza dubbio positivi gli investimenti previsti dal PNRR, come ad esempio il potenziamento della banda larga e della connettività e il miglioramento dell'accesso al credito per le imprese. È ancora più cruciale, però, investire sulle competenze, sia specialistiche sia manageriali" commenta Giorgia Sali. “Migliorare la conoscenza delle misure da parte degli imprenditori, declinare i piani (come il 'Transizione 4.0') in un'ottica pluriennale, lavorare sulla chiarezza dei testi di legge e sulla semplificazione delle procedure sono iniziative fondamentali da implementare, per consentire un utilizzo sempre più intensivo delle tecnologie ed una revisione strategica dei processi aziendali in chiave digitale".