La ragione per cui spesso le startup faticano a ricevere i fondi di cui hanno necessità è la difficoltà non a sviluppare idee, che di solito non mancano, ma a raccontarle.
Per questo motivo è nata una partnership tra BacktoWork e l’Accademia di Comunicazione Strategica, la società più prestigiosa in Italia specializzata in Master One to One per executive in Comunicazione Strategica e Negoziazione.
Abbiamo incontrato il suo direttore, Luca Brambilla, che è anche insegnante di Negoziazione e Strategic Pitch presso l’Alta Scuola ALMED dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. È, inoltre, adjunct professor nel corso di Comunicazione Strategica nella Medicina Moderna presso le facoltà di Medicina e Odontoiatria dell’Università Vita-Salute San Raffaele e docente di Negoziazione presso il master HR & Communication dell’Università IULM.
In maniera schematica io direi innanzitutto che il successo di una startup dipende da tre C. La C di contenuto, e questo solitamente non manca agli imprenditori capaci, poi la C di creatività, che è legata al pitch e alla capacità di presentare in questo le proprie idee in modo strategico, e infine la C di controllo, cioè l’abilità, una volta ottenuti i fondi, di fare crescere l’idea in maniera organica.
Sono tre step diversi. Noi vorremmo sostenere le startup sulla seconda e terza C. La seconda riguarda, abbiamo detto, il pitch. Il pitch strategico è quello in cui si valorizza l’io, il tu e il contesto, non solo i propri interessi, ma anche quello dell’interlocutore e del contesto in cui ci si trova.
Vuol dire che presentare una startup non significa più dire “Io ho avuto un’idea che cambia il mondo, sono un genio”, ma “Io ho avuto un’idea, ve la metto a disposizione, se investite voi guadagnerete, la mia azienda crescerà e ne beneficerà il contesto intorno a noi”.
Il pitch strategico è un modo di intendere il pitch più come legato a chi sta di fronte e all’ambiente circostante che come egoriferito.
Vi è la terza C, il controllo, ovvero la competenza manageriale, a livello di organizzazione delle risorse all’interno dell’azienda, e quella commerciale. Un tema cruciale che osserviamo di frequente essere presente nella vita di una startup è la capacità o meno di mettere a frutto il talento e le risorse che si hanno a disposizione, ovvero l’idea e i primi fondi che arrivano.
Non basta l’idea per avere successo, e non bastano neanche l’idea più i soldi, servono l’idea più i soldi più un’organizzazione stabile.
Naturalmente ci vuole anche fortuna, ma è una variabile indipendente. Chi lavorerà bene sulle tre C otterrà in modo naturale anche la buona sorte.
La comunicazione efficace ha come scopo esplicitare gli interessi dell’io, di chi comunica, di colui che dice “Sono quello che cambierà il mondo”. Questo, però, non interessa a nessuno.
Viceversa la comunicazione strategica valorizza l’io, il tu e il contesto, un’idea che sarà utile a chi l’ha avuta, all’interlocutore e a tutto il resto della società.
La seconda è migliore della prima innanzitutto perché la ingloba - chi comunica in modo strategico tutela anche i propri interessi - e poi perché se le startup non si alleano, ovvero non creano relazioni stabili con altri stakeholder, non creano relazioni costruendo ponti, non crescono.
Dal punto di vista delle debolezze vediamo spesso una difficoltà nella declinazione operativa sul tema della comunicazione. Vi sono persone con grandi capacità intuitive e a volte anche idee geniali, che riconoscono l’importanza della comunicazione strategica in astratto, ma non sanno come agire in concreto.
Noi, infatti, non ci occupiamo tanto della teoria, quanto di creare metodologie, percorsi formativi, in particolare one to one per i founder, e poi in seconda battuta per tutto il team, per dare gli strumenti per performare in modo migliore.
Quello che vediamo è una grandissima capacità disruptive, di innovare, di cambiare più volte approccio. E poi un’enorme voglia di lavorare. Abbiamo conosciuto persone disposte a investire tanto di quello che hanno guadagnato gli anni precedenti, oppure a rinunciare ad andare in una multinazionale, ad essere assunti in un posto “sicuro”, per giocarsela.
Osserviamo passione, determinazione, voglia di intraprendere senza la paura di sbagliare. Allo stesso tempo vediamo come molte startup o scaleup che iniziano ad avere successo non sono guidate da giovanissimi, ma da ex middle manager e senior, che uniscono la capacità disruptive con competenze manageriali e negoziali.
Il mix perfetto è, infatti, quello che viene raggiunto da quei giovani che si procurano delle capacità comunicative e di negoziazione da executive.
All’inizio vi è una condivisione di riferimenti culturali, sia provenienti dall’Accademia, sia mutuati dai grandi esperti di comunicazione, e poi cerco di declinare nei singoli casi specifici le evidenze scientifiche e le ultime ricerche nel campo della comunicazione stessa.
Così quando formo i giovani che frequentano il corso, scrittori di libri o di sceneggiature, e che nella realtà devono presentare un progetto davanti ai più grandi player italiani nel campo media, questi capiscono che tutto quello che hanno studiato in teoria in realtà può cambiare loro la vita.
Quanto più uno si forma tanto meglio performa.
Ogni anno preparo decine di persone, ma ogni storia e ogni presentazione è diversa. Perché è diverso l’io, quindi chi la fa. Abbiamo delle macro-matrici che vanno customizzate sul singolo individuo, sul singolo obiettivo che ha quella determinata persona.
Il servizio più interessante per i founder di startup è il Master One to One di Comunicazione Strategica e Negoziazione. Si tratta di un insieme di incontri di due o tre ore l’uno distribuiti in un anno, da un minimo di 5 a un massimo di 20 sessioni, in cui si lavora sulla loro capacità di comunicazione esterna all’azienda, e quindi qui entrano in gioco i pitch, ma anche interna. Ovvero come allineare coloro con cui si lavora alla stessa visione.
La conformazione del master consente allo startupper di imparare, mettere a frutto sul campo i contenuti appresi e tempo dopo fare un’altra sessione, alternando così parte teorica ed operativa.
Certo, infatti uno dei primi temi da affrontare è chi è l’io, chi è il tu e qual è il contesto in cui si opera. Quindi alla fine non parliamo di pitch al singolare, ma di diverse tipologie di pitch, perché intervenire di fronte agli investitori è una cosa, farlo alla radio o su un giornale è un’altra e parlare di fronte a una scuola è un’altra cosa ancora.
Inoltre affrontiamo anche il tema delle leve motivazionali, insegniamo come capire di fronte al singolo interlocutore quali usare in campo negoziale. Naturalmente le leve cambiano da persona a persona e noi le insegniamo tutte, e soprattutto insegniamo a riconoscere nell’altro quelle due o tre che si attivano maggiormente.
Grazie a voi