Tra le funzioni aziendali decisive nelle aziende vi è quella della gestione delle Risorse Umane. È particolarmente importante in quelle realtà in cui il capitale umano costituisce un asset fondamentale, come le imprese ad alta intensità di conoscenza. E sono precisamente queste quelle che negli ultimi anni stanno diventando sempre più centrali nel sistema economico, quelle, cioè, dei servizi avanzati, o dell’IT.
Per questo motivo abbiamo voluto incontrare Pietro Iurato, a capo delle Risorse Umane dell’area EMEA South (South Europe, Middle East, and Africa) di SAP, leader nel mercato dei sistemi informativi, per capire sia come le strategie HR stiano evolvendo e quali siano le più importanti.
Io credo che dietro il fenomeno vi sia l’impatto del Covid. In una situazione come quella che abbiamo attraversato un po’ tutti ci siamo fermati a riflettere su quelle che sono le priorità personali, come un miglior bilanciamento tra vita privata e lavorativa.
Per il resto in generale mi piace parlare con i dati in mano e quelli che ho mi dicono che in realtà i livelli di attrition sono simili a quelli precedenti al Covid. Nel 2020 era diminuita, le persone non si spostavano da un lavoro all’altro per l’incertezza, mentre oggi è tornata a crescere, ma non a livelli allarmanti.
Sicuramente le aziende che come SAP hanno mantenuto un approccio flessibile al lavoro in ufficio o virtuale non stanno risentendo della Great Resignation. Noi lasciamo la massima libertà ai dipendenti di decidere come e dove lavorare perché il nostro business ce lo permette. Quando è stato necessario, infatti, in una notte ci siamo trasformati in azienda 100% smart working garantendo la piena continuità operativa e la soddisfazione dei dipendenti stessi.
Questo per un’azienda come la nostra è un vantaggio competitivo. Prevedo che anche in futuro, quindi, non vi sarà un grande impatto della Great Resignation, e anzi, ci stiamo accorgendo che stiamo diventando più attrattivi, con tanti giovani talenti interessati alle opportunità in SAP perché garantiamo questo tipo di flessibilità.
Per il lungo periodo, però, penso si debba cercare un approccio ibrido, per cui l’azienda e il manager debbano trovare una value proposition da offrire ai dipendenti per motivarli a tornare in ufficio. Bisogna far percepire sia il valore individuale sia quello per l’azienda che avrebbe il lavoro in presenza.
Sono convinto che, comunque, avere l’opportunità di socializzare in aziende sia fondamentale, sia per realizzare una fluidità relazionale, che aiuta a lavorare meglio, sia per accrescere l’innovazione e la creatività. Quanto più riesco a interagire con coloro che sono al di là del mio cerchio ristretto di collaboratori, tanto più posso capire in altre parti dell’organizzazione cosa succede e ricevere nuove idee.
Quello che vedo è che il vantaggio degli italiani in un’area geografica come la mia (EMEA South, ndr) è quello di essere più aperti e flessibili, di saper lavorare facilmente con spagnoli, portoghesi, ma anche israeliani, sauditi, sudafricani. Questo è un vantaggio competitivo non da poco.
È ovvio, poi, che le strategie HR devono variare da Paese e Paese in base al tipo di mercato in cui ci si trova, se, per esempio, è maturo o in espansione. Questa è la differenza maggiore. Accomunerei realtà come Italia, Spagna, Portogallo, dove siamo già affermati, a fronte di quelle in cui stiamo investendo e stiamo crescendo molto, in cui c’è un grande ricambio generazionale e in cui dobbiamo costruire uno stile manageriale più maturo.
Anche nei Paesi europei come l’Italia, comunque, la leadership deve cambiare, perché siamo ancora molto orientati alla presenza in ufficio. Si tratta di un tipo di strategia ormai tramontato. Se vuoi far fare qualcosa a una persona devi convincerla e spiegare il valore che questa porta all’azienda e al lavoratore stesso.
Sì, mi è capitato, e del resto mi piace pensare a SAP come una startup di 50 anni, perché se penso a come era quest’azienda 15 anni fa, a come lavoravamo, a cosa facevamo, ora è cambiato tutto.
È un’azienda che si è sempre rinnovata, per questo abbiamo bisogno di persone che continuano a reinventarsi e reimparare, e questa è una caratteristica fondamentale di coloro che lavorano in una startup. Aggiungo l’attitudine al rischio e al cambiamento, importantissima in un mercato altamente competitivo come il nostro.
In sede di recruitment, quindi, abbiamo attenzione per quelle persone che hanno avuto esperienze come quelle di chi arriva da startup. Le abbiamo in azienda, e capita molto più spesso in Israele, dove le startup stesse sono più numerose.
È anche vero che chi lavora in SAP ha un’intelligenza organizzativa spiccata, avendo una struttura complessa, e all’inizio chi arriva da una molto più piccola può essere in difficoltà, ma anche per questo noi cerchiamo di snellire sempre di più i nostri processi interni.
Poi è vero anche il viceversa abbiamo anche dei colleghi che hanno lasciato l’azienda per fondare la loro startup.
Infatti abbiamo un programma che si chiama “Alumni network” per mantenere nel nostro ecosistema le persone che escono da SAP, perchè molto spesso rimangono nello stesso settore, possono essere partner, concorrenti, o anche appunto fondatori di startup, ed è utile mantenere i rapporti.
I confini aziendali sono sempre più labili, quello che succede all’interno è visibile, crea una reputazione, importante dal punto di vista del business e dell’attrattività sul mercato.
Non si deve sottovalutare questo elemento. Avere un sistema premiante, una modalità di crescita delle persone equa e trasparente diventa fondamentale.
Anche le aziende piccole possono avere una politica di recruitment chiara, ogni nuova posizione va pubblicizzata, si deve fare una selezione con tutti i crismi, per dare una percezione di equità interna che sarà motivante per le persone che sono già dentro, che sanno di essere in una realtà meritocratica, e soprattutto per chi è all’esterno, che si sente attratto da un’azienda di questo tipo, in cui si può dimostrare quello che si vale. Questo è vero soprattutto per i giovani.
Soprattutto in Italia, dove la mobilità sociale è bassa, creare questa percezione è molto importante.
Anche puntare sulla formazione dei manager è un fattore chiave. Spesso nelle realtà piccole si pensa alla formazione volta allo sviluppo di competenze tecniche. Secondo me bisognerebbe invece concentrarsi sulle competenze per gestire le persone perchè i bravi manager devono saper motivare e fare crescere, costruire una connessione emotiva tra l’azienda e il dipendente.
Grazie a voi