Si descrive come un Hub di innovazione, ma è molto di più. Cariplo Factory non si occupa solo di incubare e accelerare startup con la propria rete estesa ormai oltre Milano, ma è ormai un generatore di cambiamento e crescita a livello sistemico, anche attraverso l’attività di Open Innovation presso grandi imprese, i percorsi di formazione dei talenti, l’advisory.
Abbiamo incontrato il suo Coo, Riccardo Porro, per parlare dei nuovi progetti, che sono molti, dalle partnership internazionali a quelli riguardanti la bioeconomia, e per capire da chi ne è un protagonista quali sono le tendenze emergenti nel mondo degli investimenti.
Cariplo Factory nasce 5 anni fa con l’obiettivo di fare crescere tutto l’ecosistema italiano dell’innovazione, svolgendo una funzione di capacity building su quest’ultimo. Nei primi anni di attività abbiamo lavorato soprattutto con chi era posizionato nel primo miglio del supporto a startup e imprese innovative, quindi con incubatori e acceleratori. Abbiamo così potuto osservare quelli che sono i punti di forza, ma anche di debolezza di questo ecosistema.
Tra questi ultimi la frammentazione, il campanilismo, la carenza di risorse a disposizione per il trasferimento tecnologico. Ci siamo accorti della difficoltà del sistema Paese a fare crescere startup a livello globale. Anche le recenti storie di successo tipicamente hanno visto founder italiani emigrare verso ecosistemi esteri, per ricevere fondi da investitori stranieri
Con il progetto Skydeck Europe Milano l’idea è essere game changer e ribaltare la prospettiva: il nostro Paese è in grado di trattenere le più innovative startup italiane e soprattutto di attirarne da tutta Europa e tutto il mondo?
Per questo abbiamo pensato di importare le best practice dei migliori player. Quello ideale ci è parso Skydeck Berkeley, che pensiamo abbia molti punti in comune con noi. È un soggetto no profit, è legato a una delle principali università pubbliche americane, e il suo obiettivo è contribuire a rispondere alle grandi sfide della società moderna.
Come noi è un acceleratore che non investe nell’equity delle società, ma le assiste e svolge nei loro confronti la funzione di capacity builder. Vi è poi un parallel fund che immette capitali nelle imprese che escono dall’acceleratore.
Ci siamo chiesti se non potessimo replicare questo modello anche in Italia, e la cosa interessante è come ciò si è tradotto dal punto di vista operativo. È una partnership forte e strategica: Berkeley Skydeck si è impegnato in modo serio in questo progetto, fino ad attivare tutto il loro network di advisor da mettere a disposizione di Skydeck Milano. Noi abbiamo cercato di creare un contesto favorevole, reso possibile dall’ecosistema MIND (Milano Innovation District), con i suoi collegamenti con soggetti che fanno ricerca d’eccellenza, come Human Technopole, l’Istituto Galeazzi, l’Università Statale di Milano, l’Istituto Italiano di Tecnologia. E stiamo coinvolgendo altre università del territorio.
Il tutto per creare un ambiente fertile in cui le startup possono trovare quello che serve loro, laboratori, competenze, Phd...
Innanzitutto diciamo che non sono solo aziende italiane, anzi, abbiamo avuto 571 application da tutta Europa, e la percentuale di quelle del nostro Paese è del 27%. Vengono da Regno Unito, Spagna, Francia. Ben il 18% viene dagli Stati Uniti. E questo è già un primo effetto di questa partnership.
Con Berkeley Skydeck mettiamo a disposizione un network di advisor e di mentor che fa la differenza in termini qualitativi.
L’obiettivo principale è fare in modo che le startup italiane e straniere che parteciperanno possano acquisire metriche e avviarsi verso un percorso di fundraising in modo estremamente rapido.
Esatto. Quello che vediamo di solito è che le startup italiane sono più lente a crescere, ma non per loro colpe, bensì per una lentezza intrinseca dell’ecosistema.
Per esempio, in Israele alcuni anni fa mi avevano presentato una startup che si occupava di agricoltura di precisione. In Italia ne conoscevo 15 che facevano la stessa cosa, ma la differenza è che quella israeliana aveva ricevuto un milione di investimenti, dopo 6 mesi ne aveva ricevuto due, dopo altri tre aveva stretto una collaborazione con una grande multinazionale, dopo quattro mesi aveva aperto una sede negli Usa e dopo 6 anni era al Nasdaq.
Questo è il punto.
Siamo alla seconda ondata di Open Innovation.
Noi abbiamo già portato avanti 15 programmi in questo ambito e ora siamo molto impegnati con Eni, Snam, Terna. In Mind abbiamo questo osservatorio privilegiato, la Federated Innovation, dove vi sono 36 aziende che stanno lavorando in vari settori, e vediamo che c’è un salto qualitativo.
Con la nostra attività di Open Innovation rispondiamo a quelle mancanze del nostro ecosistema di cui parlavamo prima, usiamo le aziende da un lato per incrementare la loro competitività e capacità di assorbire innovazione, dall’altro per fare in modo che le startup possano sviluppare all’interno delle grandi imprese dei proof of concept e delle sinergie che consentano loro l’ingresso nel mercato.
Un dato interessante è che sta crescendo, anche in Italia, il Corporate Venture Capital, che sarà la parola chiave dei prossimi anni. Molte aziende si stanno dotando di strumenti di CVC o stanno entrando in fondi di investimento
Non solo, l’altro elemento interessante è il Venture Building. Ovvero il percorso che molte grandi aziende intraprendono in partnership con realtà come la nostra, per lavorare, in un comparto interno, come se fossero startup.
Un partner importante con cui noi ora stiamo collaborando proprio in un’attività di Venture Building è il gruppo Sapio.
Esatto, e poi possono succedere diverse cose. Il progetto può uscire dal perimetro aziendale e poi rientrare, oppure, per andare a mercato, ha necessità di fare una sinergia industriale con un’altra startup.
La differenza rispetto a una normale attività di innovazione interna è che con il Venture Building noi consentiamo a un progetto di raggiungere una certa maturità, tale per cui dentro una grande azienda è più facile venga detto di sì a un investimento importante.
Noi ora insieme a CDP Venture Capital e Intesa Sanpaolo Innovation Center abbiamo lanciato un acceleratore a San Giovanni a Teduccio (Na), Terra Next, perché crediamo tantissimo nel potere trasformativo della bioeconomia, di cui infatti si occuperà. Pensiamo che sia la risposta ai limiti dello sviluppo che caratterizza la nostra epoca.
Dico questo perché il tema vero, secondo me, è guardare ai fabbisogni. Ci deve essere un bisogno di mercato importante, non soddisfatto e che abbia una scala globale.
Penso alle startup, sempre nell’ambito della bioeconomia, che vogliono sostituire certi tipi di proteine negli alimenti, o che cercano di utilizzare gli insetti come mangime.
Se, come in questi casi, vi è alla base la risoluzione di un problema reale, il resto è tutta execution. Naturalmente a patto di essere competenti e trovare bravi advisor e mentor, e, non solo, anche bravi investitori.
Grazie a voi