Oltre 250 imprenditori, manager, professionisti che cercano opportunità su cui investire tra le più di 800 proposte di altrettante aziende che ogni anno vengono analizzate. Imprese che appartengono a tutti i settori più innovativi, dal Fintech al Medtech al Foodtech.
Questo è il Club degli Investitori, una delle community più vive in Italia su cui le startup possono contare per trovare capitali e preziose sinergie e partnership.
Abbiamo allora incontrato il suo presidente, Giancarlo Rocchietti, una lunga esperienza imprenditoriale alle spalle, già Presidente dell’agenzia Sviluppo Italia Piemonte e Presidente di Piemontech. Gli abbiamo chiesto di raccontarci quali sono le opportunità che offre e le sfide più recenti del Club.
Io sono un imprenditore e a un certo punto ho venduto la mia azienda, ho fatto una exit, e dopo un viaggio negli Stati Uniti in cui ho conosciuto la realtà di Band of Angels, la più antica community di investitori del Paese, ho pensato di fare qualcosa di simile con 4 amici.
Abbiamo costituito nel 2008 un comitato che si riuniva una volta al mese per aiutare i giovani imprenditori a fondare e fare crescere le proprie aziende.
Poi l’attività si è trasformata, ma rimanendo un’associazione senza scopo di lucro, anche se naturalmente favorisce l’incontro tra i soci e le startup su cui questi possono decidere di investire per trarne profitto.
La crescita dell’associazione negli ultimi due anni è stata interessante, raccoglie ora 250 persone con la grande passione per l'imprenditorialità e l’innovazione oltre che l’esigenza di fare investimenti per diversificare il patrimonio. In più siamo un gruppo di persone che si diverte e che sono diventate amiche.
Normalmente gli investitori competenti sono bravi in settori delimitati, a volte di nicchia. Entrando in questa associazione possono sia mettere le proprie competenze a disposizione degli altri soci che investire in quegli ambiti in cui non hanno conoscenze specifiche, che invece possiede qualcun altro nel Club degli Investitori.
Dal lato delle aziende l’azione di gruppo può dare una grossa mano soprattutto a quella imprese che hanno come modello il B2B, perché quello di cui hanno bisogno gli imprenditori oggi, che devono fare tutto in fretta e hanno molti più concorrenti intorno, non sono solo i fondi, ma anche le relazioni e il network. Noi possiamo metterli in contatto con importanti clienti internazionali in breve tempo.
Questa è la nostra forza.
Abbiamo una percentuale di imprenditori superiore al 50% e più alta di quella presente in altri Club simili in Europa. Si tratta sia di imprenditori che guidano un’azienda, sia di altri che l'hanno venduta, come me. Seguono manager e professionisti.
Vi sono però anche alcuni professori universitari che vogliono diversificare i propri risparmi. Si può fare il business angel provenendo da diversi background.
Nel tempo non è cambiata tanto la composizione dei soci, coloro che possiedono o hanno posseduto un’azienda erano maggioranza già all’inizio, anche perché crediamo che la maggior parte dei problemi di un imprenditore possano essere risolti da un altro imprenditore.
L’evoluzione, invece, è consistita nel passare da un modello molto local, in cui quasi tutti i business angels erano basati a Torino, a uno internazionale. E molto di questo è stato dovuto al Covid. Un terzo dei soci entrati nel 2021 sono torinesi, un terzo risiedono nel resto d’Italia e un terzo sono italiani all’estero.
Prima della pandemia i gruppi di angels si incontravano periodicamente in presenza, ma con i meeting da remoto abbiamo avuto adesioni da Londra, da Parigi, dalla Svizzera, dalla California.
Non solo il gruppo di soci si sta globalizzando, ma lo stanno facendo anche gli investimenti: investiamo infatti anche fuori dall’Italia, ma in startup fondate da italiani.
Si è trattato di un cambiamento radicale, continuiamo a fare le riunioni a Torino, ma sono di più coloro che sono collegati in via digitale di quelli presenti fisicamente.
Non ancora, su questo l’Italia è un po’ indietro, però ci sono delle interessanti sinergie tra le aziende che entrano per cercare fondi e quelle dei business angel. Per esempio abbiamo investito in una società che si occupa di economia circolare e di riciclo dei materassi e uno dei nostri soci ha messo a disposizione a titolo quasi gratuito un proprio capannone.
Altre, nel settore della mobility, collaborano con le imprese di angels che sono per esempio nello shipping, nell'automotive e nella mobility stessa.
Noi siamo dei generalisti, ma quello che sto vedendo è che i criteri ESG (Environmental, Social and Governance), ovvero il social impact, sono alla base di tutto. Non parlerei di settore in questo caso, si tratta di un requisito trasversale che tutte le imprese devono rispettare.
Negli ultimi anni ho visto una lenta diminuzione di un ambito che era più “sexy” prima del Covid, ovvero il Fintech, a favore dell’Health Care e del Biotech. Lo vedo anche dal punto di vista dell’interesse dei soci del Club.
E sto cominciando a osservare una crescita nel campo del Cleantech, dell’energia pulita, per esempio nell’ambito della produzione di piccoli reattori nucleari.
Sicuramente la legge Passera del 2012 ha dato un grande contributo per via dell’incentivo fiscale costituito dalla detrazione del 30% sugli investimenti realizzati. Avrebbe poi dovuto essere portato al 40%, ma non è stato fatto. È stato creato in seguito un incentivo del 50%, ma non funziona per via del meccanismo farraginoso che lo caratterizza.
Si dovrebbe rendere più semplice per aiutare almeno coloro che investono nelle fasi iniziali di un’impresa.
Nel frattempo Cassa Depositi e Prestiti ha ricevuto molti fondi e altri ne riceverà, ma io penso che si dovrebbero aiutare anche gli acceleratori e i fondi di Venture Capital oltre che investire direttamente nelle startup.
Credo poi che lo Stato debba intervenire in particolare nelle fasi più critiche, quindi all’inizio del ciclo di vita delle imprese. Senza finanziamenti a pioggia, ma in modo selezionato, a favore degli acceleratori più meritevoli.
Un altro elemento che manca è rappresentato dai grandi fondi, capaci di investimenti anche di 10 milioni di euro. Piuttosto che farne nascere tanti piccoli credo sia necessario farne sorgere uno grosso, che possa aiutare le startup in Round C,D,E.
Poi vi è il tema della creazione di impresa. Non mancano a volte le idee e i fondi, anzi, di soldi ve ne sono tanti. Al punto è che un altro tema oggi attuale è quello della grande liquidità disponibile sul mercato, che sta portando a valutazioni di startup a volte eccessive. Si rischia una bolla, che negli Usa è già scoppiata, e in Europa non ancora.
Piuttosto vi è bisogno di bravi imprenditori. È necessario un cambiamento culturale e delle norme. Il fallimento deve finire di essere un marchio a vita come è ora.
Imprenditori non si nasce, ma si diventa, e dovrebbero essere create schools of entrepreneurship, come vi sono all’estero. Le università dovrebbero farne corsi obbligatori per i propri studenti. Non basta la vocazione, ma ci vuole anche la pratica, le competenze, la cultura per diventare imprenditori.
Grazie a voi