Startup che falliscono e che ce la fanno, cosa le differenzia

Gianni Balduzzi 11/09/2020

Lo sappiamo, viene ripetuto in mille convegni e sui tanti articoli che al fenomeno startup vengono dedicati, solo una su 10 ha successo. Non possiamo parlare di fallimento per le altre, il know how creato, la cultura di impresa imparata non svaniscono e vanno ad arricchire il sistema, ma certo, la gran parte a un certo punto smette di esistere.

E’ spontaneo chiedersi cosa hanno di speciale allora quelle che invece continuano il proprio percorso e anzi si ingrandiscono vincendo la propria sfida.

Finanza, educazione, sanità gli ambiti di maggior successo

Secondo Failory.com sono le startup che vengono fondate nel mondo della finanza e del real estate quelle che hanno il minor tasso di fallimento, seguite da quelle dell’ambito dell’educazione e della sanità, rispettivamente il 42% e il 44%. Potrebbe forse meravigliare molti, ma sono invece le startup informatiche quelle che vanno incontro al destino peggiore.

La ragione sta alle origini: le aziende informatiche e digitali hanno minori barriere all’ingresso, per esempio in termini di capitale iniziale necessario, a volte bastano solo le proprie capacità di coding, e consentono a molti più aspiranti imprenditori di lanciarsi. Al contrario nel settore finanziario o sanitario una pre-selezione è necessaria, i capitali da investire ingenti, così come un altro tipo di capitale sempre più indispensabile, quello umano, delle competenze. Inoltre la massa critica della concorrenza in questi ambiti è decisamente più grande, e per competere è necessario partire con o raggiungere dimensioni maggiori.

Quello che emerge è che non significa che chi vuole iniziare da zero, da pochi capitali, da un garage, non possa farcela, anzi, ma che dovrebbe porsi l’obiettivo di accumulare quegli asset che all’inizio, nella primissima fase, quella del garage appunto, sembrano ancora superflui, come maggiori capitali e competenze tecniche e manageriali.

Mentorship e competenze tecniche volano dell’azienda

Secondo l’analisi di 10years.firstround.com le startup che hanno avuto come fondatore un imprenditore con un background tecnico hanno avuto performance del 230% migliori delle altre. Ma non basta, è determinante che i fondatori sviluppino una curva di apprendimento, che imparino nuove competenze, e questo lo si può fare attraverso dei mentor. Quelle aziende che hanno potuto e voluto avvalersi di mentorship secondo i dati di Startup Genome crescono 3,5 volte più veloci e raccolgono 7 volte più capitale. 

I mentor non danno solo le informazioni necessarie, i contenuti, ma anche l’esperienza che può aiutare a mettere in atto qualcosa che in una startup è indispensabile, il cambiamento.

Cambiare strategia paga

Le competenze infatti servono anche ad esempio a cambiare strada se necessario. Un dato interessante è che, sempre secondo i dati di Startup Genome, le aziende che hanno 1 o 2 pivot, ovvero cambi radicali di strategia, nel corso della propria esistenza si ritrovano ad avere un aumento dei propri clienti e utenti 3,6 volte più veloce della media, e a raccogliere capitali d’investimento in numero maggiore di 2,5 volte. 

Si tratta per esempio di cambiare, anche in modo profondo, il proprio prodotto o servizio, o il segmento di consumatore a cui rivolgersi, o anche la tecnologia usata. Le aziende che hanno zero o più di due pivot hanno performance decisamente peggiori, da un lato perchè troppo immobili e poco innovative, dall’altro perchè con tutta probabilità lo spreco di risorse utilizzato in cambi di strategia (investimenti in nuovi prodotti mai partiti per esempio) ha sopravanzato la loro utilità. 

Il prodotto deve avere mercato

I pivot, le competenze e i capitali sono necessari poi per evitare i principali problemi per cui le startup falliscono, ovvero quelli di marketing, in particolare la mancata aderenza del prodotto al mercato. Nel complesso è ascrivibile a queste mancanze più di metà dei fallimenti, il 56% sempre secondo Failory.com. 

Tra le altre ragioni vi sono problemi di cash flow. Nel 16% dei casi si tratta della causa principale di fallimento, ma in realtà secondo Preferred CFO una gestione approssimativa della cassa contribuisce in ben l’82% dei casi. Ed essendo le startup che non possono proseguire il 90% due facili calcoli ci portano a dire che le startup di successo appartengono a quel 26% che già dall’inizio si premura di procurarsi la cassa sufficiente ad arrivare al break even point e poi di gestire il business senza dilapidarla, come consiglia chi di finanza e controllo si occupa da sempre

Decisivo diventa infatti fare uno scaling coerente e non prematuro, come accade a molte startup, che affrontano investimenti eccessivi allo scopo di andare in fretta sul mercato, troppo in fretta per la capacità e l’efficienza che sono riusciti a costruire.

L’innovatività non basta, il successo è multifattoriale

Quello che gli osservatori dell’ormai non nuovissimo ecosistema delle startup rilevano è che quindi lo startupper di successo non è quello che inventa un nuovo prodotto, o come più spesso capita, servizio basandosi sul fatto che non l’ha ancora fatto nessuno, ma quello che pensa a costruire fin da subito un’azienda oltre che  un prodotto. Con un approccio che è quindi multifattoriale, e si basa sul reperimento di più asset:

  • L’idea innovativa, certo, ma anche
  • Il capitale finanziario, che serva per il delicato e decisivo equilibrio del cash flow 
  • Il capitale umano, in termini non solo di competenze tecniche, ma anche finanziarie e di mentorship 

E, ma forse questo vale per ogni umana impresa, quell’umiltà e quella flessibilità utile a capire di dover cambiare strategia (il famoso pivot) o cedere il controllo di un pezzo della società a chi dimostra di avere competenze maggiore, soprattutto nella fase successiva della vita dell’azienda.

 


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