Spesso le startup hanno la necessità di ricorrere a prestazioni professionali, ma non hanno la liquidità sufficiente per retribuirle. Tra gli strumenti di cui possono avvalersi vi è il work for equity.
Introdotto dal D.L. 179/2012 (Decreto Crescita 2.0), poi esteso anche alle Pmi innovative dal D.L. 3/2015, il work for equity permette alle aziende - anche quando non dispongono di molta liquidità - di remunerare le prestazioni professionali e lavorative qualificate mediante l’assegnazione di azioni, quote o altri strumenti finanziari partecipativi, al contempo incentivando i prestatori d’opera e fornitori di servizi che, diventando soci, hanno tutto l’interesse a far crescere la società e, in questo modo, il valore della partecipazione ricevuta.
Nello specifico, a poter beneficiare di tale strumento possono essere i consulenti, i professionisti e, in generale, i fornitori di opere e servizi, diversi dai lavoratori dipendenti e dai collaboratori continuativi.
L’attivazione di meccanismi di work for equity è regolata da uno specifico accordo, che deve prevedere nel dettaglio il tipo di opera o il servizio da rendere e la valorizzazione degli apporti.
A tal fine, dev’essere predisposta una perizia di stima, redatta da un esperto (dottore commercialista o revisore) nominato dalle parti, così da valorizzare economicamente le prestazioni d’opera o i servizi resi a fronte dell’assegnazione di azioni, quote o strumenti finanziari partecipativi.
Fra le varie formule previste, partiamo da quella che consiste nella cessione di quote o azioni: in questo caso, la società deve avere, in precedenza, acquistato le azioni o le quote dai soci e, se ciò avviene a titolo oneroso, devono essere rispettate le condizioni previste dall’art. 2357 del Codice Civile, cioè l’acquisto deve avvenire nel limite degli utili distribuiti e delle riserve disponibili (secondo quanto risulta dall’ultimo bilancio approvato).
Inoltre le azioni o quote cedute devono essere interamente liberate.
Esiste poi anche la possibilità di effettuare un aumento di capitale a titolo gratuito con assegnazione di azioni o quote di nuova emissione ai prestatori d’opera: ciò avviene attraverso l’imputazione a capitale di utili e riserve disponibili, possibile solo a favore dei soci esistenti.
L’aumento di capitale a titolo gratuito a soggetti terzi è consentito soltanto per le Spa, come sottolineato dall’art. 2349 del Codice Civile, ma a favore di dipendenti e non di consulenti o collaboratori esterni.
La terza opzione è quella dell’aumento di capitale a pagamento con assegnazione di azioni o quote di nuova emissione ai prestatori d’opera: per procedere non è necessario che la società non sia in perdita ma, se si tratta di Srl, lo Statuto deve contenere una clausola che consenta un aumento di capitale destinato a terzi non soci.