Durante e dopo una fase di crisi e recessione una delle strategie migliori per ripartire e per superare il momento difficile è aggregarsi.
È anche per questo motivo che le operazioni di M&A (Merger & Acquisitions) hanno avuto un boost a livello mondiale dopo la pandemia.
Si tratta in realtà di una modalità di incrementare la marginalità da sempre in uso all’interno dell’economia, soprattutto in quei segmenti che cominciano a diventare maturi, in cui le fusioni sono uno strumento per tagliare costi fissi che rischiano di appesantire le aziende. Il mercato automobilistico è un chiaro esempio in questo senso.
L’avvento della globalizzazione, poi, assieme a quello della rivoluzione digitale ha offerto più opportunità e occasioni propizie alle acquisizioni e alle fusioni. Queste sono divenute una delle forme con cui avvengono gli investimenti indispensabili a fare crescere una startup, a fare prendere il largo a un’innovazione disruptive che non potrebbe diventare di uso comune senza capitali che solo fondi di private equity o grandi aziende possiedono.
Non è un caso, dunque, che il 2021 sia stato un anno record per il settore M&A. I dati di Kpmg sono più che eloquenti: le operazioni portate a termine a livello mondiale sono state 48.948, il 47% in più che nel 2020, e il 63,3% in più rispetto a 10 anni prima, il 2011.
In soli 12 mesi i deal sono cresciuti più di quanto avessero fatto tra l’inizio dello scorso decennio e l’arrivo della pandemia.
Lo stesso incremento spettacolare contraddistingue anche i numeri che più contano, quelli relativi al valore di queste operazioni. L’anno scorso è ammontato a 4.418 miliardi di dollari, il 31% in più che in quello precedente. È stato battuto anche il record precedente, quello del 2018, quando complessivamente fusioni e acquisizioni avevano coinvolto 3.552 miliardi di controvalore.
A dominare a livello geografico sono sempre i deal nordamericani, in massima parte statunitensi: sono poco più di un terzo del totale, ma è in essi che si concentra il 55% del valore totale, 2.412 miliardi di dollari.
Le operazioni europee valgono invece meno della metà, il 23% dei 4.418 miliardi complessivi, e, a breve distanza, con il 19%, ci sono quelle strette nell’area Asia/Pacifico.
Come è facile immaginare la classifica dei deal più grandi del 2021 vede in gran parte delle prime dieci posizioni quelli che hanno come bidder e/o target imprese americane. Per esempio l’operazione da 39,3 miliardi con cui Astrazeneca ha acquisito l'azienda farmaceutica Usa Alexion, impegnata soprattutto nel segmento delle malattie rare.
Che l’acquisizione più importante sia avvenuta in questo settore è paradigmatico di un momento in cui il Biotech e il Pharma hanno acquisito un’importanza e un’attrattività senza precedenti.
Così come è molto significativo il fatto che al secondo posto, con un controvalore di 34,3 miliardi di dollari, ci sia l’acquisto da parte di altimeter Growth Corporation, americana, di un’azienda di Singapore, Grab, attiva in un settore e in un’area entrambi emergenti e rappresentativi dell’economia dell’ultimo decennio, ovvero quello del trasporto su richiesta tramite app mobile nel Sud Est Asiatico.
L’ottavo deal per dimensioni, del valore di 22,1 miliardi, ci riguarda: è la fusione tra Peugeot e Fiat Chrisler, chiuso ormai più di un anno fa, nel gennaio 2021.
Tra i dati più importanti del 2021 vi è l’aumento dell’importanza del Private Equity come motore della crescita in ambito M&A. È dovuto ai fondi di PE il 42,9% del controvalore delle fusioni e delle acquisizioni, ovvero 1.897 miliardi di dollari, quasi il doppio del 2020, quando erano stati protagonisti di operazioni che complessivamente avevano coinvolto 995 miliardi.
Era dal 2007, prima del fallimento di Lehman Brothers, che non si raggiungevano tali picchi. È il risultato dell’aumento della capacità di raccolta dei fondi, cui si rivolgono sempre più soggetti, dai semplici risparmiatori alle grandi imprese.
Nel 2021 a simboleggiare e allo stesso tempo a causare la ripresa degli investimenti vi è stato un incremento delle operazioni cosiddette “cross-border”, che sono cresciute più della media sia in volume, +80%, che in volumi, +45%.
È del resto questa una delle principali modalità per rafforzare la capitalizzazione delle imprese, sia quelle piccole che le multinazionali, e consentire forti investimenti: aprirsi a nuovi canali, sia dal punto di vista geografico, con l’intervento di soggetti di altri Paesi, sia dal punto di vista della natura del bidder, quindi appunto con un maggior coinvolgimento dei fondi di Private Equity
L’Italia si conferma un mercato emergente nell’ambito M&A. Le dimensioni più piccole del mercato, infatti, si accompagnano però a tassi di incremento superiori a quelli medi mondiali.
I deal sono stati 1.214 in totale, più degli 880 del 2020 e anche dei 1.085 del 2019, mentre a livello di controvalore è stata superata la soglia dei 100 miliardi di euro, con un aumento del 128% sull’anno precedente, una crescita molto superiore di quella dei volumi, saliti del 38%.
Questo significa, ed è il dato probabilmente più interessante, che il taglio medio delle operazioni è diventato molto più grande, di 83 milioni, contro i 50 del 2020, avvicinandosi a quello medio mondiale.
Ciò è accaduto per la presenza di ben 20 deal superiori al miliardo.
A crescere, però, sono stati i deal di ogni taglio, anche quelli più piccoli inferiori ai 50 milioni: il loro valore è salito del 31%
Quest’anno era iniziato con ottimismo. Un’indagine certificava come il 74% dei professionisti che dentro Aifi si occupa di M&A prevedeva un’ulteriore crescita dei volumi per il 2022, che per il 61% ancora una volta sarebbe stata trainata dal Private Capital e dalle operazioni cross-borders.
La guerra in Ucraina, i rincari delle materie prime, le previsioni su un forte rallentamento della crescita del Pil, però, stanno imponendo il loro peso, e i numeri delle fusioni e delle acquisizioni ne risentono.
Nel primo trimestre 2022 il mercato M&A Emea è diminuito in termini di valore del 27% rispetto al 2021, fermandosi a 223 miliardi.
In Italia però è andata un po’ meglio, il calo è stato del 21%.
Come ogni settore emergente e dinamico in presenza di cambiamenti del clima economico o di shock le reazioni vengono ampliate. Questi cali rispetto ai dati molto positivi, da record, dell’anno scorso non giungono inaspettati considerando il contesto.
Il trend di lungo periodo rimane positivo, la scommessa per il nostro Paese sarà fare in modo che le fusioni e le acquisizioni che riguardano aziende italiane continuino ad avere un andamento più positivo della media. C’è un grande gap da colmare.