Secondo i dati dell’Osservatorio Big Data e Business Analytics del Politecnico di Milano, nel 2020 una PMI su due ha investito in ambito analisi dei dati o prevede di farlo entro la fine dell'anno. La pandemia non quindi bloccato gli investimenti: solo l'8% delle aziende ha fermato quelli già programmati a seguito dell'emergenza. Anzi, secondo il 22% delle piccole e medie imprese, l’emergenza Covid ha avuto un impatto positivo per la valorizzazione dei dati perché è aumentata la consapevolezza di quanto questa sia rilevante. Ciò ha portato le risorse interne a dedicare più tempo alla gestione e all’analisi dei dati. La percentuale delle imprese che hanno investito nei big data cresce fra quelle di medie dimensioni (61%), dove appena l'1% ha detto stop agli investimenti.
Per capire l’importanza che ha oggi investire nei dati e nella loro analisi basti pensare che soltanto una PMI su quattro non ha investito né avviato progetti di analytics nel 2020, contro il 38% del 2019.
Nel 2020, in Italia, il mercato ha raggiunto quota 1,815 miliardi di euro, crescendo del +6% nonostante la situazione emergenziale. Negli anni precedenti la corsa era stata molto sostenuta: +23% nel 2018 e +26% nel 2019.
Stando a questi dati, e a quelli di altre importanti società di analisi e di interpretazione delle tendenze di mercato, i big data si prospettano come uno dei settori più redditizi per chi è alla ricerca di un settore dove investire con alte prospettive di crescita.
Citando ancora una volta i dati dell’Osservatorio del Politecnico di Milano, a spingere le aziende in questa direzione sono diversi fattori:
Passando dalle percentuali all’analisi, dall’investimento in big data e business analytics le aziende si attendono una maggiore efficienza e una riduzione del rischio nelle analisi finanziarie. Un altro aspetto importante è la possibilità di svolgere manutenzione preventiva (o predittiva).
L’analisi dei big data migliora anche la sicurezza e le performance applicative, ovvero aiuta a prevenire problemi nell’erogazione dei servizi e a monitorare gli eventi per essere pronti a rispondere in tempo reale.
Da rimarcare anche il ruolo che i dati rivestono in una migliore conoscenza dei clienti, che può essere messa al servizio di progetti di marketing e delle vendite, lo sviluppo di nuovi prodotti e l’ottimizzazione della customer experience.
Tutto ciò si traduce, per l’azienda:
Anche le amministrazioni pubbliche possono ottenere significativi vantaggi sfruttando opportunamente i big data. Secondo gli analisti di McKinsey, in Europa i risparmi possono raggiungere i 100 miliardi di euro, che si traducono in maggiore efficienza operativa. Si tratta di una cifra che ha decisamente ancora molti margini di crescita, utilizzando i big data in maniera più intensa contro frodi, operazioni errate e nella lotta all’evasione fiscale.
Per quanto riguarda i big data, la maggior parte degli investimenti è concentrata sui software (52%), in particolare per sistemi di intelligenza artificiale e piattaforme di Data Science. Seguono i servizi, che rappresentano il 28% del mercato, e le risorse infrastrutturali (20%), cioè i sistemi che abilitano l’analisi dei dati, in grado di fornire capacità di calcolo e di storage. Significativa anche la spesa in cloud (19%). Fra i settori aziendali che investono di più, le banche sono il primo per quota di mercato (28%), seguite da manifatturiero (24%), telco e media (14%), servizi (8%), Gdo e retail (7,5%), assicurazioni (7%), utility (6.5%), PA e sanità (5%).
Il termine “big data” indica, come si può intuire, la mole di dati che una azienda può raccogliere utilizzando varie fonti, dati dai quali si possono estrarre informazioni da utilizzare, per esempio, in progetti di intelligenza artificiale o modellazione predittiva o ancora in evolute analisi di marketing.
Negli ultimi anni le aziende stanno sempre di più apprezzando il potenziale che deriva dall’elaborazione dei big data; anche in Italia questa tendenza è in costante aumento, come dimostrato dai numeri in crescita. Basti pensare che il 90% dei dati oggi esistenti sono stati generati negli ultimi due anni. Ogni giorno, un solo utente dei social media genera in media 12 gigabyte di dati monitorati in tempo reale (secondo i report sviluppati da How Much Information e Digital in 2017 Global Overview).
Per poter avere un’idea dell’immensa quantità di dati di cui stiamo parlando, basti pensare che i big data sono calcolati in Zettabyte, unità di misura corrispondente a miliardi di Terabyte.
I big data non hanno un’unica provenienza, ma possono essere raccolti da svariate fonti, ad esempio: database dei clienti, cartelle cliniche, sistemi di transazioni commerciali, applicazioni mobili, repository di ricerca scientifica, social network, o anche essere generati in tempo reale dalle macchine munite di sensori operanti in ambienti Internet of Things (IoT).
Questa grande quantità di informazioni può essere analizzata utilizzando i dati in forma grezza o elaborandoli preventivamente tramite strumenti di data mining o appositi software.
Per caratterizzare i big data non è sufficiente il solo criterio dei volumi. Sono cinque le peculiarità che li contraddistinguono, le cosiddette “5V”.
Oltre a volume, quindi, abbiamo: