La ripresa dell’economia dopo la crisi scatenata dalla pandemia si sta traducendo soprattutto in un rimbalzo della crescita, con il Pil che potrebbe aumentare del 6%, dopo il crollo dell’8,9% nel 2020, grazie al recupero dei consumi e degli investimenti. L’occupazione ha già beneficiato e si spera beneficerà maggiormente del recupero con la creazione di posti di lavoro.
Ma il miglioramento quantitativo dei fondamentali dell’economia, che del resto tornerà agli stessi livelli del 2019 solo a inizio 2022, non può bastare.
Vi è la necessità di un rafforzamento qualitativo del mercato delle imprese dopo il colpo inferto dal Covid. E su questo versante paiono arrivare buone notizie dall’andamento delle operazioni di M&A (Merger & Acquisitions).
Le fusioni e le acquisizioni che sono state perfezionate nel primo semestre del 2021, ci dice Kpmg, sono state 522, per un valore complessivo di 42,4 miliardi di euro. Si tratta dei livelli più alti degli ultimi anni. Questi numeri non sono solo superiori, come è comprensibile, a quelli del primo semestre del 2020, con 419 operazioni per 23 miliardi, ma in realtà anche a quelli del 2017, 2018, 2019. Due anni fa, infatti, prima della pandemia, non si era andati oltre le 500 M&A, per un totale di 30 miliardi di euro.
243 Merger & Acquisition hanno interessato aziende straniere, sia nella posizione di acquirenti che di acquisite. Nonostante siano meno della metà di quelle complessive, a livello di valore invece parliamo di 32 miliardi, ovvero ben il 76% del totale.
È vero, nel gruppo spicca quella l’operazione PSA/FCA che ha fatto nascere Stellantis e che da sola vale 19,8 miliardi, e questa gonfia sia i numeri generali che soprattutto quelli riguardanti le M&A crossborder (internazionali),
Anche senza considerare Stellantis comunque siamo di fronte a 8 miliardi di investimenti da parte di compratori esteri (erano stati 2,2 nel 2020) e a 4,4 miliardi di acquisizioni all’estero da parte di aziende italiane. Considerando il numero di deal parliamo rispettivamente di 146 e 98 operazioni.
Qualcuno potrebbe obiettare che siamo di fronte all’ennesima “conquista” di aziende italiane da parte dello straniero. Ma sarebbero timori miopi. Rafforzare un’impresa attraverso l’ingresso di capitale, anche in posizione di maggioranza, è necessario perché questa possa continuare a fare investimenti, rimanere competitiva e naturalmente dare lavoro. L’alternativa a questo tipo di interventi il più delle volte non è la prosperità e spesso neanche la prosecuzione delle attività sotto una proprietà tricolore, ma spesso un lento declino fino alla scomparsa, un destino che tante aziende italiane hanno sofferto.
Certo, se le operazioni di M&A avvengono in casa, come è il caso delle 279 Italia su Italia del primo semestre di quest’anno, si tratta di una vittoria per il sistema Paese, ma il pericolo maggiore in realtà è che non ce ne siano abbastanza.
Allargando lo sguardo al resto del mondo e prendendo come riferimento l’ultimo anno intero “normale”, ovvero del periodo pre-Covid, il 2019, osserviamo come su 809,4 miliardi di dollari di M&A effettuate crossborder l’Italia non rientrava neanche tra i primi 10 Paesi coinvolti, né tra gli obiettivi delle acquisizioni né come Paese di aziende acquirenti.
Al primo posto vi erano naturalmente gli USA, che però erano molto più prede che cacciatori, se vogliamo vederla in questo modo. I deal che prevedevano l’acquisto di aziende americane erano valse 228,1 miliardi di dollari contro i 150,1 di quelle in cui erano queste a fare shopping all’estero. Ad avere un saldo negativo erano stati anche la Germania e i Paesi Bassi.
Questo nonostante, o forse proprio perchè, si tratti di alcuni dei Paesi più produttivi e con le realtà più competitive.
In un’economia globale più della nazione di registrazione di un’azienda o del certificato di nascita dei membri del suo management conta la sua capacità di fare profitto, di investire, di migliorarsi costantemente e naturalmente le competenze può attirare e creare. E i singoli Paesi a questo dovrebbero mirare, a costruire il capitale umano oltre che sociale che renda conveniente per tali imprese rimanere sul territorio e investire su di esso.
Secondo un recente report di Pwc sono il Consumer Market e l’Industrial Manufacturing & Automotive i protagonisti della ripresa delle operazioni di M&A nel primo semestre del 2021 in Italia, con aumenti in volume rispettivamente del 35% e del 36%. Anche se si tratta di deal più piccoli considerando che a livello di valore vi è invece un calo, dovuto soprattutto alla presenza di pochi ma importanti accordi sottoscritti nella prima parte del 2020.
A livello mondiale invece sono stati il settore sanitario e TMT (Technology, Media e Telecommunications) a segnare i progressi maggiori, del 50% e del 46%, sempre in volume.
Del resto a livello globale la crescita è stata del 30%, con un incremento più accentuato delle operazioni effettuate da fondi di Private Equity, i quali se consideriamo il numero di deal acquistano maggiore importanza anche in Italia, dove sono protagonisti del 35% delle operazioni contro il 32% del 2020 e il 38% a livello mondiale.
Anche se sempre un po’ in ritardo il nostro Paese segue il trend globale, e ora l’obiettivo dei prossimi anni, che saranno decisivi con il programma Next Generation Eu che ci riguarderà più di tutti, è mettere le basi perché invece di un mero inseguimento si tratti di un vero e proprio catching up anche in questo campo.